Ciao, Yasser!

Ciao comandante, te ne sei andato e ci lasci qui da soli. Senza di te il mondo non sarà più lo stesso, magari sarà migliore… senza di te, senza la tua testa dura, senza le tue scelte a volte incomprensibili.

Amato e odiato chissà quale sarà il giudizio che la Storia ti riserverà.

Uomo politico accorto, rivoluzionario coraggioso e astuto, capo di terroristi, un negoziatore degno del Nobel per la Pace…

Sei stato una personalità talmente complessa, contrastata che non mi spiego come hai fatto a rimanere alla testa della sua gente. Come se i palestinesi vedessero la Palestina così com’è, nei pregi e nei difetti del suo leader.

La tua vita è un mistero senza fine a partire della città che ti ha dato alla luce nel 1929: Cairo o Gerusalemme? Capo di Al Fatah, presidente dell’Organizzazione per le Liberazione della Palestina non sarà certo la storia che ci chiarirà le idee su cosa fossero queste “associazioni”. La storia la scrivono i vincitori e certo non siamo vicini a quel tempo, il tempo dei vinti e dei vincitori (semmai ce ne sarà uno) allo stesso modo anche grazie a te siamo oggi meno ingenui. La verità sul “tuo popolo”, sulla “tua terra” non potrà non passare al vaglio della tua esistenza.

Il “tuo popolo” ha un credito con la storia, quella scritta dai vincitori. Il ”tuo popolo” considerato alla stregua di banditi e terroristi da chi non mai avuto l’occasione di guardarlo negli occhi. Quel popolo tante volte tradito nei tempi dal “sovrano del mondo” di turno. La storia di un popolo molto spesso non conosciuta e tu hai avuto la fortuna di raccontarla al mondo dal podio delle Nazioni Unite quando dicesti: “Sono venuto portando un ramoscello d’ulivo e il fucile di un combattente per la libertà. Non lasciate che il ramoscello d’ulivo mi cada di mano!”

Ho rivisto in questi giorni la storia della tua esistenza. Quante cose non so e non sapevo. Certo che hai fatto il bello e il cattivo tempo. Quando nel 1988 riconoscesti ad Israele il diritto di esistere il mondo per un attimo cambio idea su di te, ma durò poco.

La tua scelta di sostenere Saddam nell’invasione al Kuwait non era come sostenere la Croce Rossa. Forse allora arrivasti in ritardo. Appoggiavi un tiranno senza scrupoli quando oramai tutto il mondo aveva finito di appoggiarlo. Forse avevi solo sbagliato il tempo. Lo avessi fatto qualche anno prima ti saresti trovato seduto ad un tavolo con chi oggi decide le sorti del mondo. Non sei stato un campione di tempismo. Ma poi chi mai sei stato, cosa sei stato?

Comandante alla testa di un popolo senza soldi ne diritti, disperso in campi profughi, e per ora privato della possibilità, se non della promessa, di creare uno stato sovrano. Alla testa di un popolo con nel cuore un dramma troppo grande per essere compreso con… poche righe.

Sei stato il protagonista di una lotta tra due popoli che si contendono la stessa terra, in nome di antichi valori, avendo come sfondo la strage europea degli ebrei, i cui superstiti sono venuti a rifugiarsi, a recuperare i luoghi biblici degli antenati, su cui vivevano da secoli arabi musulmani: i palestinesi diventati vittime (ma anche palestinesi cristiani la cui sorte oggi non è certo felice). Ed anche concreto simbolo dell’ingiustizia occidentale per più di duecento milioni di arabi, che spesso ne approfittano. In un vecchio cassetto una dichiarazione di Gandhi che nel 1938 affermava:

La simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi alla giustizia. La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. A sostegno di tale rivendicazione viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina. Perche’, come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere?

La Palestina appartiene agli arabi come l’Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei. Cio’ che sta avvenendo oggi in Palestina non puo’ esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall’ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l’umanita’ costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale. La cosa corretta e’ di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia. Se gli ebrei sostengono di non avere altra patria che la Palestina, sono disposti ad essere cacciati dalle altre parti del mondo in cui risiedono? Oppure vogliono una doppia patria in cui stabilirsi a loro piacimento?

Sono convinto che gli ebrei stanno agendo ingiustamente. La Palestina biblica non e’ un’entita’ geografica. Essa deve trovarsi nei loro cuori. Ma messo anche che essi considerino la terra di Palestina come loro patria, e’ ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili . Un’azione religiosa non puo’ essere compiuta con l’aiuto delle baionette e delle bombe (oltre tutto altrui). Gli ebre
i possono stabilirsi in Palestina soltanto col consenso degli arabi.

Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un’aggressione del loro Paese. Ma in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell’ingiusto, non puo’ essere detto niente contro la resistenza degli arabi di fronte alle preponderanti forze avversarie.”

Dopo essere stato il comandante, simbolo di un popolo, da alcuni anni della tua avventura ti è rimasto solo l’incarnare le rivendicazione della tua gente. Forse è giusto così. Il tuo tempo è finito. Il tempo della tua vita terrena è terminato come è terminato il tempo delle tue scelte a difesa della “causa”. Forse è davvero arrivato il tempo della riconciliazione per la tua terra, sperando che chi viene dopo di te sappia creare e cogliere quei segni che si presenteranno. Non sarà facile in una terra dove i politici da sempre sono stati forgiati tra le armi dell’esercito: Sharon, Perez, Rabin insieme a te che bella foto ricordo ci sarà un giorno nei cieli.

La storia non ti condannerà, non può condannarti se non a costo di dover condannare l’equilibrio stesso del mondo negli ultimi 50 anni almeno! Siamo tutti vittime. Io da ebolitano, vittima di un sistema che non ho voluto, la tua gente e la gente che tu hai combattuto vittima dell’insana scelleratezza di chi non volle dopo il secondo conflitto mondiale davvero risolvere un problema che poi la fredda cronaca ci ha raccontato con migliaia di morti!

Una mattina della primavera del 2002 varcando la soglia della tua casa ebbi un brivido. Entravo in un mondo che non conoscevo a dal quale non sapevo come ne sarei uscito. Non ho avuto molto tempo per prepararmi a quell’incontro ma quella mattina era un giorno particolare. Sveglia all’alba e partenza con i miei compagni di viaggio. Piccolo gruppo di sognatori mandati dalla Chiesa Italiana, che non dimentica le sofferenze dei popoli, ad incontrare le diverse parti coinvolte in questo triste conflitto, per cercare di essere un segno e per vivere un sogno!

In quella settimana le armi diventarono silenziose, non ne ho mai compreso la ragione. Per arrivare alla Moqata, la tua dimora degli ultimi tuoi 2 anni di confino, forse la tua dimora per l’eternità, la strada non è semplice. Pochi chilometri ma sembra di attraversare un continente intero, tali sono le differenze che si possono incontrare tra uno stato occidentale e… uno stato che non c’è! Passare attraverso i “check point” non è piacevole. Vedersi puntare un mitra da un ragazzino dell’esercito israeliano non è il migliore modo per augurare buon viaggio. Ma tu lo sai meglio di me. Visto che quello stesso mitra è puntato oramai in modo costante verso la tua Ramallah! Il check point di Kalandia non è solo una dogana è lo spartiacque della povertà, della ingiustizia, dell’insensatezza dell’uomo.

Mentre percorrevo la strada del tuo cortile non avevo il coraggio di guardarmi indietro, la paura di poter vedere qualcosa di terribile alle mie spalle era lo stimolo per raggiungere la tua dimora, forse pericolo più grande, ma non certo percepito in questo modo.

Salendo per le scale che portano al primo piano di “casa tua” i militari palestinesi, a tua difesa, scherzavano con noi. È stato a tratti divertente ascoltarti, come quando si ascolta un anziano raccontare le vicende della propria vita. Ci raccontasti dell’omaggio della nazionale di calcio italiana dopo la vittoria del mondiale del 1982 in Spagna mentre c’era l’assedio di Beirut. Della tua visita al Papa nel 1999 e ci lasciamo con l’augurio di poterci rivedere a Pasqua in Gerusalemme. Chissà cosa intendevi dire. Spero davvero un giorno di poter celebrare la “Pasqua” in una Gerusalemme libera, simbolo del perdono e della riconciliazione. Non una Gerusalemme contesa ed insanguinata ma una Gerusalemme celeste simbolo di mondo nuovo.

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