Beh, buon anno, dai!

Eh sì dai bisogna fare uno sforzo per tirarsi su, dire o fare qualcosa. Anche se il 2009 non parte granchè bene. Ho problemi fisici, ho il collo di tacchino, come lo chiamo io. Sì, il mio collo è il problema. Pare che abbia perso la sua bella curva fisiologica, la sua leggiadra lordosi naturale che gli permette di restare elastico e sostenere con nonchalance il peso della capoccia. Questo perchè due dischetti si sono spaccati anni fa, e in aggiunta una curiosa forma di artrosi cervicale produce ‘sti becchi ossei che si chiamano osteofiti e vanno a punzecchiare proprio là dove non devono, sulle radici dei nervi del braccio. Il sinistro, guarda caso, che per me è importante come il destro è per la maggior parte degli umani.

In pratica, soffro. Soffro da Giugno e mi sono persino stufato di lamentarmi. Quando il dolore si fa particolarmente acuto mi alzo dal letto la notte e mi metto a girare per casa, facendo degli esercizi, quelli che mi ricordo dalle recenti sedute di rieducazione motoria. Non so se funzionano, ma dopo un po’ mi sento meglio, abbastanza da potermene tornare a letto e godere di alcune preziose ore di sonno ininterrotto. Quindi non mi lamento nè bestemmio, come facevo i primi tempi, quando il dolore sembrava un evento eccezionale e non una condizione stabile. Solo mi rendo conto che la sopportazione del dolore mi cambia. Sono sordo e cieco a molte, troppe cose. Il mondo attira sempre meno la mia attenzione, e non solo perchè mi riesce difficile girare attorno la testa o guardare avanti mentre cammino. Non mi si chieda di guardare il cielo poi, quello proprio no: vedo le stelle, sempre, anche di giorno.

I vari specialisti interpellati hanno espresso un parere ammirevolmente unanime: bisogna operare. A me piace conoscere i dettagli e ho chiesto, mi sono informato. Accesso anteriore, endoscopia, gabbiette e forse placche e viti di titanio. Inutile esternare la propria perplessità di fornte alla apparente brutalità primitiva della soluzione chirurgica: “Ma lei è architetto, dovrebbe capire; lei ha un problema strutturale, mi dica lei cosa farebbe ad un edificio con un problema strutturale, della fisioterapia?” Immagino che l’equivalente della fisioterapia per un edificio sarebbe, non so, un rifacimento delle facciate o l’aggiunta di frangisole. Il fatto che le persone non sono edifici rimane una questione accademica da un certo punto di vista, quello della neurochirurgia.

Fatto sta che adesso in fondo in fondo non vedo l’ora di andare sotto i ferri. Quando poggeranno la mascherina col gas sul mento, sotto ci sarà un sorriso. Svegliarsi violato (come sempre ci si sveglia dopo un’operazione) ma privo di dolore, almeno di questo dolore, e riprendere a fare programmi. Ma sarà come prima? It takes a big leap of faith in medical science.

Nel frattempo si pone il problema di come riuscire a tirare avanti in questi mesi (due? otto?) che mi separano da quello che mi è stato presentato come l’atto risolutivo, l’unico, il vero. Terrò fede ai miei impegni? Sentirò più male di quello che sento ora? Sbattermi in giro aumenta la mia sofferenza, e per la strada mi sento vulnerabile come un ottantenne. L’unica cosa che posso tentare è l’agopuntura. Appena torno a Bologna cerco un buon agopunturista, almeno bravo come quella che avevo a Londra, spero.

cuore

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