una cronaca lisboeta

Orrore, ma cari Erasmus abbiate lo stesso fiducia! (Lisbona è meravigliosa)

Allora, questo è quello che mi ha raccontato un tipo. Praticamente sto qua ha studiato architettura a Lisbona, e non vi dirò se in una facoltà pubblica o privata. Perché questo qua ancora non sa che spiattellerò tutto sul blog. Potrebbe non gradire. Ad ogni modo va fatta una premessa. Stiamo parlando di un tipo che come me ha finito il corso alcuni anni fa, quindi non so e non sappiamo se nel frattempo qualcosa sia cambiato in quel del fiume Tejo. <> mi dice Miguel. E già, perché pare che all’inizio del IV anno i professori abbiano deciso di gettare la maschera. Il discorso fatto agli studenti era più o meno di questo tipo: cari studenti, noi stiamo qui per bocciare (e bocciarvi). Siete voi che dovrete convincerci a cambiare idea, …una volta superato un esame nel quale il vostro progetto sarà sottoposto alle critiche di 5 professori. Il metodo era un po’ come quello di alcune facoltà umanistiche e scientifiche italiane: appena ne sbagli una, ci rivediamo a Settembre. L’avevano pensata anche bene, perché i cinque avevano tutti filosofie diverse tra loro, del tipo: c’era un filo-Gehry, un filo-Siza, un filo-Koolhaas un filo-Herzog e de Meuron ecc.
In pratica gli studenti vivevano, pensavano e lavoravano solo per poter rispondere alle eventuali osservazioni che avrebbero potuto subire. Miguel passò tutta una notte a leggere un libro intero di Távora solo per poter rispondere ad una eventuale critica su un singolo aspetto del suo progetto. Le revisioni non esistevano, tanto che Miguel rimase sorpresissimo quando gli ho parlato delle nostre famose liste per le revisioni. C’erano praticamente dei colloqui sporadici con i prof e comunque c’era la tendenza da parte dei docenti a rispondere a dei dubbi che erano comuni a un po’ tutta la classe senza scendere nello specifico di ogni singolo progetto.
Il risultato di questo metodo è che molti alla fine desisterono, soprattutto nei primi anni… quando cioè qualcuno pensava ancora che i professori non fossero affatto dei cecchini pagati per bocciarli. .
Il risultato per Miguel fu quello di essersi fatto un mazzo ciclopico durante gli ultimi due anni, …con il vantaggio, dice lui, di essere stati i suoi migliori anni accademici.
Mie considerazioni: in Portogallo il metodo è l’unico strumento che ti permette di fare quella che definiscono “buona architettura”. Tranne che per delle eccezioni più o meno evidenti, io non so proprio che cavolo voglia dire “buona architettura”. Ci sono tanti modi di pensare quanti sono gli architetti nel Mondo e questi mi parlano dell’architettura come se fosse una partita di calcio da “giocare bene”. Quando poi ci troviamo di fronte a dei metodi come quello di cui ho fatto cronaca, allora sì che stiamo apposto. Con questa filosofia del metodo magari si riesce a produrre architetti abilissimi nel controllare, dominare e sviluppare coerentemente un’idea progettuale, come dimostrano le sfilze di 30 che gli studenti della FAUP prendevano da noi, …ma questo, realmente, a cosa serve? Servono quei 30 a trasformare quegli studenti in dei buoni architetti? Serve questa cultura del metodo a fare dei progetti fighissimi? Secondo me serve solo a fare dei progetti à portuguesa, con meno curve possibili.
E poi gli studenti FAUP a Barcellona vanno pure male.

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