data stellare 02.12.2006

Un grande, grandissimo saluto a Pier Andrea e al suo incredibile http://ilmiocapoeunostronzo.splinder.com
Ho avuto finalmente modo di leggerlo… oddio le risate!
Ti sono vicino Pier 😉

Ma ora…
IL PROGETTO
Dio mio quanta preparazione serve per un progetto. Alcuni di noi, prima di avere la “forma” definitiva, quella da cui scaturiranno il progetto definitivo e l’esecutivo, impiegano settimane.
Ricordo un vecchio albo di Asterix, se non sbaglio “Asterix e Cleopatra“, che riportava in copertina l’elenco del materiale necessario alla realizzazione dello stesso, annoverando oltre alle matite, le chine, le gomme, anche la birra (che a uno degli autori piaceva bere mentre disegnava).
Ecco, per ogni progetto, un architetto, dovrebbe allegare un foglio intitolato “Per la realizzazione di questo progetto sono stati necessari:”
Uno dei ragazzi che mi ha scritto, riportava un episodio della sua vita professionale piuttosto emblematico: il cliente si era presentato col progetto praticamente fatto, pronto per essere timbrato. Purtroppo, è successo anche a me.
Ma andiamo con ordine…
appena tornati a casa dal rilievo, siamo freschi di ricordo e carichi di voglia di fare (non succede spesso di avere clienti…). Prendiamo gli amati ferri del mestiere e VIA.
Io inizio subito “passeggiando”. Sono uno di quegli architetti affetti dal morbo deambulatorio: io devo camminare quando penso! Se le gambe si muovo, il mio cervello funziona meglio. E funziona ancora meglio se le mie passeggiate sono accompagnate da musica (con risultati analoghi alla scena del primo ministro di Love Actually, quando viene beccato a ballare dalla governante).
Inizio così disegnando nella mia mente, fermandomi solo per consultare libri, foto di viaggi, immagini random. Nella mia mente l’appartamento prende forma, come UNICA MACCHINA funzionante. Qui c’è la prima differenza fondamentale: gli architetti creano un unico progetto organico. Chi decide di scavalcare il tecnico e fare di conto proprio, magari affidandosi alle riviste, mette insieme una serie di scorci visivi a lui graditi, senza badare che uno segua il pensiero, la logica, l’anima dell’altro.
Anno Uno, Lezione Uno: la differenza tra composizione e aggregazione.
Mio padre, architetto vecchia scuola, sostiene l’eterna differenza tra una casa “arredata” e una casa “ammobiliata”. Non vi sono tentativi, prove, correzioni in corsa. No: la realizzazione segue un progetto già stabilito, i mobili seguono un percorso che abbiamo nella testa. Siamo stati addestrati a fare così, abbiamo studiato 5 anni (almeno) per ragionare così. E poi c’è la casa ammobiliata: un po di mobili, comprati in serie (stile Ikea: TUTTA LA LINEA! Col risultato che ci riempiamo casa di Boris, Jurgen e altri nomi che comuni mortali riusciremmo a dare al massimo a un bassotto) o infilati a caso in accostamenti senza capo ne coda, ma soprattutto, in posizioni organizzate secondo il sistema: ASPGer (Alza, Sposta, Poggia, Guarda e Ricomincia).
Quando conosco una persona nuova, al “sono un architetto” la prima cosa che mi viene risposta è “Ma dai?! Lo sai che io mi diverto tantissimo a spostare i mobili in casa mia?“. La mia prima risposta (regolarmente ingoiata) è “Ma dai? Fai la traslocatrice?“, sostituita da un sorriso a mezza bocca. Il problema, con questi personaggi, è che dal LORO punto di vista, tu hai fatto 36 esami, una tesi e un esame di stato per raggiungere il loro LIVELLO BASE di conoscenza dell’architettura e del’arredamento. Dio mio… lungi da me la volontà di sostenere che senza architetti le vostre case farebbero schifo! Ognuno è padrone in casa sua… ma se avete chiamato un professionista e gli avete affidato un lavoro, vogliamo quanto meno prestare orecchio a quello che dice?
E puntualmente la storia segue questo corso…
Il progetto è finito. L’architetto si vede da questo: una strisciata ben piegata, con una pagina di copertina, dati del proprietario di casa, un paio di piante: una per cogliere al meglio la ristrutturazione e una con una proposta di arredamento. Anche qui, nota per i profani: ogni cosa è studiata per accogliere QUELL’arredamento. Gli elementi di arredo non sono solo i mobili. Vi sono anche pareti di cartongesso adeguatamente montate, pannelli di vetro da illuminare in un modo particolare. Insomma: un progetto studiato!
Vi presentate all’appuntamento in tenuta da battaglia. Il progetto è perfetto (a vostro giudizio) e inattaccabile.
L’incontro, curiosamente, ricorda molto un esame universitario: non ci sono più i sorrisi che c’erano a lezione. Il cliente, come un consumato professore, se ne frega dell’abbigliamento, accogliendovi in abiti casual (ma sì, in mutande!); la moglie, invece, come un perfetto assistente, è in assetto da battaglia.
Rispetto al rilievo, lei è meno “genuina” nel sorriso e sembra quasi dover fare da inteprete: lei parla la vostra lingua, quella dell’architettura.
Cliente “Buonasera archité”
Moglie “…”
Cervello “36 esami, l’avrò meritato il titolo completo, no? tto! Ripeti cazzo: ‘tto! Non è difficile! architeTTO!”
Architetto “Buonasera, allora, ecco il proge…” muore in gola. Cosa vedono i miei occhi? Dei fogli di carta millimetrata? Con dei disegni? I più evoluti si presentano con piante di casa in scala 1:10, e con i mobili in miniatura ritagliati tipo carriarmati del risiko.
Moglie “Ecco vedi… Anche NOI avremo elaborato delle soluzioni”
Guardi il marito cercando di capire. Nei suoi occhi leggi la difesa di Norimberga: “Obbedivo solo a degli ordini!”
Cervello “Perchè questa mo’ me da der tu? Avemo mai magnato pasta e faciole ‘nsieme?”
Rimani basito. Poggi la cartellina sul tavolo e senza parole fai cenno con la mano di andare avanti.
Cervello “Ma che li fai parlà pe’ davero?!”
Moglie “Noi praticamente…”
Il disegno in realtà è qualcosa che travalica l’umanamente ammissibile. Non c’è un progetto. Non c’è una proposta. Riconosci lo zampino delle maledette riviste: quegli insulti aggregati cartacei, secondo i quali ogni bagno deve avere un gradino, tutte le finestre affacciano su uno scorcio di mare tropicale e ogni ambiente misura ALMENO 75 metri quadrati. Lo scontro è tra titani.
Qui archité ci aprirei una porta” (sul perimetrale?) “E qui archité ci metterei il soggiorno veneziano” (Vicino la camera da pranzo in stile rustico?) “E la cucina è il mio capolavoro” (Sono sicuro che almeno una volta anche il dott. Mengele ha detto la stessa cosa) “Guardi qui che cosa ci ho messo!” (La lavatrice? Minchia, roba da premio Pritzker!).
Ti concentri profondamente. Ti sei bevuto le loro stronzate per 40 minuti. Ha smontato ogni micron di quella ridicola proposta, grazie a:
1) anni di studio all’università
2) la pazienza maturata in ore e ore di fila allo sportello della segreteria studenti
3) forza della disperazione
I più preparati usano il sistema che il professor Zarkhov di Flash Gordon opponeva alle macchine infernali di Ming: lasciarsi scorrere dentro la testa immagini dell’infanzia, vecchi film, persino una canzone dei beatles…
Ora attendono una tua parola
Cervello “Ma te’ guard
a ‘sti du’ fiji de’ na’…”

Attendono ancora
Cervello “Ma io ve strozzo, brutti criminali! Architettura? Ma manco dar macellaro io te…”
Attendono ancora
Cervello “Ok, mi sono sfogato… puoi proseguire”
Li guardi. Non potranno resistere. Con un gesto maestoso, alla Von Karajan, attiri la loro attenzione sulla cartellina. Estrai il progetto.
Silenzio.
Cicale.
Vento.
Una balla di steppaglia attraversa il soggiorno.
Se Tiger Woods ingoiasse le sue mazze alla 72esima buca del Grand Slam di Golf, il silenzio del pubblico sarebbe meno imbarazzante.
Ma non ti arrendi e parti all’arrembaggio.
Il dibattito è vivo, vibrante. La battaglia prosegue senza sosta…
Cliente “Archité, ma io nun ce capisco gnente… facci lei”
Cervello “facci?”
Moglie “Ma io veramente…”
Architetto “Ma guardi dottore, che io…”
Cervello “facci?
Cliente “No, vede, io pensavo a una cosa diversa”
Moglie “Tipo la mia idea”
Cervello “facci?”
Architetto “Ma io mi preoccupavo di…”
Cliente “No, facci lei, non si preoccupa!” (sentita veramente)
Cervello “Joe… Joe se non dovessi tornare a casa… di a mia moglie che l’ho amata… Joe… ti prego…”
Moglie “Io qui prevedevo…”
Ma improvvisamente… “Ok, tagliamo corto. L’idea è questa. E qui possiamo concludere dicendo che…”
E qui accade l’irreparabile. Voi avete in pugno la vostra matita. Non è una qualunque. E’ la VOSTRA matita.
Avete 3 processi in corso per crimini contro l’umanità… e tutto per come vi siete procurati quella matita.
Avete ancora in mente la madre singhiozzante di quel collega universitario che avete ucciso in quel negozio perchè la voleva anche lui e QUELLA era l’ultima e ripeteva “Non lo perdono, non lo perdono!”.
Voi che per quella matita avete risparmiato i soldi vendendo 2 reni… di cui solo UNO VOSTRO…
E LUI COSA FA? Vi prende la matita di mano!
Ora, io non sono possessivo… è solo un oggetto. MA TU NON HAI UNA MATITA IN CASA? E non puoi fare a meno di impugnarla come l’assassino di Hitchcock nella famosa scena della doccia?
Dovete sapere che tra architetto e matita c’è un rapporto che va oltre il legalmente e moralmente ammissibile. Stiamo parlando di vero feticismo.
Una volta subita questa violenza psicologica, normalmente l’architetto raccoglie le sue carabattole. Lo scontro è stato insoddisfacente per entrambe le parti, tutto rinviato: promettete di prendere in considerazione i “suggerimenti” (deglutite vistosamente prima di definirli così) della signora (che archivierete nel grande schedario bianco, quello con su scritto: SOLO CARTA) e vi rivedrete la prossima settimana…
In un ipotetico angolo delle interviste del dopo partita, andrebbe + o – così:
il cliente: ma a me basta che me fanno pagà poco… in fin dei conti ma che me frega?
la moglie: progetto? Ha portato un progetto? No, non ci ho fatto caso… ma io non ho capito. Dovevamo parlare di casa mia, perchè non si è discusso del mio progetto? Ma si usa così?
l’architetto: Beh diciamo che mi aspettavo che capissero quello che proponevo. Non riuscivano a cogliere il senso, la ricerca… non avevano capacità di visione tridimensionale, per cui non potevano inquadrare alcune soluzioni
il cervello: …”facci”…

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