Credo di non essermi mai sentito solo sino ad ora.
Quella che chiamavo solitudine non era altro che una pausa di riflessione dal caos esterno, un mezzo attraverso il quale rigenerarmi e mettere in ordine i miei pesieri.
Questa invece e’ solitudine vera.
Si’ perche’ non e’ facile essere l’unico italiano, meglio l’unico occidentale, meglio ancora l’unico non-cinese in uno studio dove lavorano piu’ di quaranta persone.
E’ inevitabile che in queste condizoni ci si senta diversi, spesso fuori posto.
Le differenze nei comportamenti e nelle abitudini poi si traducono in atteggiamenti no comprensibili a “noi”.
Per esempio: c’e’ un motivo per il quale la mattina tutti i colleghi passano davanti alla mia postazione e non mi guardano nemmeno? A me all’inizio venivano un sacco di complessi: “magari gli sto antipatico”,” forse ho fatto qualcosa che non dovevo fare…”, e invece no. E’ questo il loro modo di rispettare la privacy, il lavoro altrui. Eppure accidenti quanto farebbe piacere un bel saluto prima di lavorare…
Ho fatto capire al mio boss (che ha un nome cinesissimo ma si fa chiamare come un rapper anni ’90) che insomma, delle volte mi trovo un po’ in difficolta’. Mi ha risposto che qui c’e’ una comunita’ italiana, che se voglio posso andare li’.
Comunita’ italiana? Ma sono qui gruppi che si riuniscono in saloni illuminati con luci al neon e tappezzati da poster di Schillaci e Nilla Pizzi? Dove si ascolta toto Cutugno? Magari non e’ cosi’, ma nel dubbio ringrazio KC e torno al mio posto.
Di la’ parlano allegramente in Cinese e ridono. Chissa’ poi che c’avranno da ridere…
Per fortuna che giovedi’ arrivera’ B. a portarmi un po’ di sorrisi e spero un minimo di equilibrio in questa mia vita da rockstar in pensione.
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