
Sembra che alla fine io qui serva a qualcosa, visto che al primo accenno di protesta da parte mia mi vengono promesse carte firmate e timbrate, di quelle buone a soddisfare i desideri feticisti delle polizie di frontiera.
Non sono pero’ i miei fatti personali l’oggetto di questo blog. Quello che ho vissuto qui voglio che serva da sfondo per parlare d’altro.
Voglio osservare e raccontare, con una leggerezza che solo un’esistenza parallela che regala nick ti puo’permettere.
Non voglio apparire come l’architetto che trova la fortuna in un paese lontano, cosi’ come non voglio apparire come il Marco Polo del 2008 che va alla scoperta di chissa’ quale civilta’, perche’ tutto e’ gia’ stato scritto e tutto e’ stato detto a proposito di tutto.
Voglio raccontare le cose dal mio punto di vista, giuste o sbagliate che siano.
Non voglio apparire.
Questo vuole essere, egoisticamente parlando, un diario personale, privato. Il fatto che venga messo online non ne modifica la natura. Detto questo, ogni comento mi fa davvero piacere…
Non so nemmeno per quale motivo sento il bisogno di scrivere questa premessa, ma tant’e’…
Forse sono davvero solo stanco.
In questi giorni qui in studio mi sembrano tutti pazzi, piu’ del solito. Appena finiti due concept me ne chiedono un altro, da fare in due gioni.
Una roba da nulla: un waterfront di 3 km. Ho a disposizione cinque foto sfocate e un file dwg. Indicazioni: mettici dei bagni e delle sedute.
Ora, forse siamo noi europei ad essere troppo pedanti e cervellotici ogni volta che dobbiamo approcciarci ad un progetto (FORSE), ma questo piu’ che pragmatismo orientale ha tutta l’aria di essere superficialita’.
Dove vanno a finire tutte le cose imparate all’universita’? Dove tutte le altre imparate al master? Ce senso ha parlare di progetto quando non si ha la minima cognizione del luogo su cui si va ad intervenire? Dall’Architettura con la A maiuscola (o se si preferisce dalla Paesagistica con la P maiuscola) a un disegno gradevole il passo e’ lungo, ma c’e’ chi riesce a farlo con agilita’.
Mi piacerebbe parlare in maniera dettagliata dell’approccio al progetto che si usa qui, spero di farlo appena avro’ un minimo di tregua.
Ed ora si torna ad avvitare bulloni…
Non ricordo esattamente quando ho deciso di venire qui a Hong Kong. In quel momento per me l'importante era partire. Per fuggire da un futuro già programmato e tremendamente rassicurante, dalla gente con la faccia rassegnata che si incontra da quelle parti, o forse solo per fuggire, viste le cose da pazzi successe poco tempo prima e delle quali un giorno forse avrò il coraggio di parlare. Mi chiamano Holden, e questo è il mio blog.
2 risposte a Tempi moderni in Cina (ops, a Hong Kong)