Il sabato mattina sembra tutto più umano. Tutto, persino gli studi di architettura.
Girando tra le postazioni vuote hai la possibilità di vedere pezzi di vita di persone misteriose, che non hai ancora capito e che probabilmente non capirai mai.
La foto del figlio di quello con gli occhiali che chissà come si chiama, i portafortuna della ragazza con i capelli arruffati, gli schizzi di quell’altra che sembra sempre annoiata, la bilancia che la segretaria nasconde in un angolino nemmeno tanto nascosto.
Gli oggetti prendono il posto delle parole, come è giusto che sia.
Poco distante quello che parla sempre al telefono si mette le mani nei capelli e comincia a parlare da solo allungando esageratamente le vocali delle parole. Chissà forse è successo qualcosa, forse ha ricevuto una e-mail dalla sua ragazza, forse solo non vede l’ora che questa settimana finisca…


 
								 Non ricordo esattamente quando ho deciso di venire qui a Hong Kong. In quel momento per me l'importante era partire. Per fuggire da un futuro già programmato e tremendamente rassicurante, dalla gente con la faccia rassegnata che si incontra da quelle parti, o forse solo per fuggire, viste le cose da pazzi successe poco tempo prima e delle quali un giorno forse avrò il coraggio di parlare. Mi chiamano Holden, e questo è il mio blog.
 Non ricordo esattamente quando ho deciso di venire qui a Hong Kong. In quel momento per me l'importante era partire. Per fuggire da un futuro già programmato e tremendamente rassicurante, dalla gente con la faccia rassegnata che si incontra da quelle parti, o forse solo per fuggire, viste le cose da pazzi successe poco tempo prima e delle quali un giorno forse avrò il coraggio di parlare. Mi chiamano Holden, e questo è il mio blog.