new york 1.
Chi conosce le mie tendenze ecologiste e politiche, si sorprenderà, forse…(solo se la pensa come la pensavo io un anno fa) del fatto che dopo 15 mesi, tra due settimane, salirò nuovamente su un boeing che mi porterà a New York.
Ma devo fare una premessa, dopo i fatti del 11 settembre, nella rielezione di Bush, all’appello delle preferenze per questo, New York non era presente e dietro ldi essa, anche altre metropoli americane.
Vinse quella che allora si definì America retro, abbondante nelle coste atlantica e pacifica e nutrita nelle contee rurali, dove l’identità americana è forte e vuole mantenersi: lì in quella america che fa pagare i conti a tutti noi, è radicata l’identità sociale, quella che scalcia via la possibilità di ritrovarsi con un caleidoscopio di culture. L’america metro, battuta dall’america retro. Menomale che da 4 giorni, delle truppe italiane in Iraq, appoggiando queste teorie conservatrici, non rimane traccia.
New York, entra dentro. È quel tipo di città che si appiccica addosso. Il passato di New York è impregnato di Olanda. NY non fu mai puritana come le altre colonie, credette nei pirati, prima che nei predicatori, non predilesse mai ne l’indipendenza, né l’unione, ne ovviamente l’autorità. La storia narra che tra i primi 400 abitanti arrivati dall’Europa, della città, si parlavano ben 18 lingue distinte. NY fu a suo tempo ed è tutt’ora, rifugio di disadattati, ciarlatani, liberi pensatori e gente strana, ma strana per davvero.
Quando nell’agosto del 2005, assorbivo il calore della grande mela, dritto nella pelle, che addirittura cambiava al tatto, giravo sola, ed era automatico fare l’analisi dei newyorkesi. Nel posto in cui everything is possibile, ognuno deve avere il suo mistero. Insieme a quei milioni di parole dell’aria, ci sono personaggi di ogni sorte e origine. Mi sembrava che qualsiasi vita, dalla più mondana e impegnata, passando per quella retrograda e solitaria, sino a giungere a quelle vite unte e scostanti, avessero un’intensità speciale.Il monologo interno delle persone, come appunto succedeva al mio, veniva continuamenye esaltato o disturbato, dal miscuglio di odori, dall’intermittenza delle luci, dal concerto disastroso dei rumori e dei suoni, dal vociare e dai passi della gente, che costituiscono, un vivace tamburo su una terra libera.
Erano passati solo tre giorni, e continuavo ancora a svegliarmi alle 6 del mattino, generoso contributo del fusorario, per allungare la mia vacanza culturale, senza riposi inutili, quando andai a vedere il guggenheim. Ricordo che prima di svoltare sulla fifth avenue, selezionai sull’MP3, Vertigo degli U2, guardai il cielo ed era abbastanza azzurro per essere NY, poi abbassai lo sguardo, sull’ombra che accarezzava da tempo l’asfalto e le chiesi se era contenta, stavamo per andare a vedere il guggenheim. L’emozione non tradì le aspettative. E un capolavoro: l’aggetto della fascia del piano terra, col suo andamento curvilineo, effettua gentilmente un invito, e la continuità ascensionale che si prova all’interno, si definisce bene anche dall’esterno. Quel qualcosa che cresce e che crescendo si costruisce dando una forma al suo intento, di cui parlava Wright, trova nello spazio il sua zona vitale. La musica a palla, non mi fece sentire uno dei controllori del museo, quando finalmente si avvicinò e mi disse che era vietato fare foto all’interno, ma ormai quelle scattate, erano già catturate. La città mi stordì, tanto che al ritorno non trovavo una chiara definizione da darle. Non sapevo mettere ordine nel fascio di emozioni forti, ammassate durante il viaggio.
E la solitudine, stato in cui girai in largo e in lungo NY, le marcò ancora più a fondo.
Tra le cose che mi piacerebbe fare in queste vacanze tutte da frullare nella grande mela:
1. guardare un’alba dal ponte di brooklyn
2. passeggiare con Amanda stringendoci nei cappotti sulla fifth avenue (non quella del museo, raffinata e sobria, l’altra, la mondana, quella di Tiffany e Gucci.
3. ascoltare un Gospel ad Harem
4. scrivere ancora una volta il diario, nella lussuosa public library
5. fare un pupazzo di neve nel central park e magari, perché no, discutere con “qualcuno” dei temi di cui parlano Harry e Sally chi ha visto il film, (
lo adora come la sottoscritta e ne conosce le battute più famose) può capire ed entra nel libro rosa senza fermarsi al semaforo.
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