Dalle stelle ai cunicoli di tufo, dal pietricciolo alle sfumature rosso fuoco sulle pareti, chi conosce le altezze e le profondità dell´archeologia campana, soffre a vedere ogni giorno qualche Domus in piú chiusa al pubblico.
Dopo mesi dal primo crollo in uno dei siti archeologici piú importanti del mondo, si respira polvere alzata dal vento primaverile.Macerie, tristezza e cani randagi che a volte superano il numero di visitatori. Ci sono stati i fondi per delle prioritá erroneamente calcolate come schermi al plasma ed effetti speciali , grazie ad un progetto multimediale costato 1 milione di euro, nella Domus di Polibio e poi alcune Domus sono chiuse perché mancano i soldi per gli straordinari da pagare ai custodi. E cosi le macchine fotografiche anziché catturare il segni del tempo, l´arte pompeiana e l´architettura, rimangono mute, senza il click davanti a catenacci antiscasso e catene blindate.
Nonostante questa tristezza nel sito archeologico di Pompei, almeno le operazioni di conservazione svolte ad Ercolano nell’ultimo anno lungo il Decumano Massimo hanno coinvolto alcune delle più interessanti dimore romane del Sito. Ed é giá qualcosa…
Per arricchire le tasche della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Napoli e Provincia, abbiamo pensato bene di programmare una visita archeologica al sito di Cuma per venerdi prossimo.
Cenni storici del sito archeologico
Le più antiche testimonianze della frequentazione del sito in età preistorica e protostorica provengono dalle necropoli esplorate nel corso dell’800 dallo Stevens, i cui ricchi corredi sono stati di recente esposti nel settore topografico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Dell’antica Cuma – la prima delle colonie di popolamento greche in Occidente, fondata ai danni delle locali popolazioni osco-sabelliche nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. da Euboici-Calcidesi precedentemente stanziatisi nell’emporion di Pithekoussai (poi Aenaria nell’isola di Ischia) – sono attualmente visitabili l’acropoli con i Templi di Apollo e di Giove, il primo impianto dei quali risale all’età greca, e il cosiddetto “Antro della Sibilla”, riferito dalla tradizione al culto oracolare di Apollo ma sorto quasi certamente per scopi difensivi.
L’altra galleria, nota come Crypta Romana o “grotta di Cocceio“, con la quale si collegò in età tardo-repubblicana il porto di Cuma col Portus Iulius sui laghi d’Averno e di Lucrino, al fine di potenziare militarmente la zona, è accessibile dal piazzale situato di fronte all’Antro della Sibilla e dal quale si imbocca la via Sacra, che conduce all’acropoli.
Visibili da quest’ultima sono anche i resti della “città bassa”, con i Templi italici del Foro ed i grandiosi ruderi di un edificio termale detto “Masseria del Gigante”, l’anfiteatro di recente riportato alla luce, nonché l’”Arco Felice”, impiantato sul valico che fu aperto nel monte Grillo, confine orientale della città antica, per il passaggio della antica via Domitiana.
I resti di un santuario isiaco, emersi nel corso di nuove indagini archeologiche eseguite in prossimità dell’area portuale della città, attestano la diffusione del culto egiziano di Iside nell’area flegrea. Lungo la costa a nord della città, presso la collina di Torregaveta, sopravvivono, infine, i resti della sontuosa villa marittima ivi impiantata da Servilio Vatia nel I secolo d.C.
fonte:
http://archeocuma.sbanap.campaniabeniculturali.it/storia-del-sito
Ecco il Vesuvio, che ieri ancora era verde delle ombre di pampini:
qui celebre uva spremuta dal torchio aveva colmato i tini.
Questa giogaia Bacco amò più dei colli di Nisa:
su questo monte ieri ancora i Satiri eseguirono il girotondo.
Qui c’era la città di Venere, a lei più gradita di Sparta;
qui c’era la città che ripeteva nel nome la gloria di Ercole.
Tutto giace sommerso dalle fiamme e dall’oscura cenere:
gli dei avrebbero voluto che un tale scempio non fosse stato loro permesso
Marziale Ep. IV, 44