Appunti di un soggiorno a Salvador
La lingua Dopo un mese, nonostante fossi dotato di uno spagnolo fluente, il portoghese lo masticavo ancora con difficoltà. Contemporaneamente mi accorgevo quanto fosse diversa la gente che incontravo ogni giorno e poi ogni sera: ora vicina ora lontana dai miei costumi. Ora americana, ora un po’ europea. Contadina oppure urbana. Educata o cafona. Ragazze che ci stavano subito e altre che se la tiravano all’infinito. Ricchi e poveri, belli e brutti, neri bianchi, marroni, manovali coi calli dappertutto e figli di papà in locali esclusivi, costellavano questo mondo. L’unica cosa che li accomunava era la lingua, che appunto non capivo. Ignorando la lingua ignoravo una delle poche cose che teneva insieme questi individui così diversi. Probabilmente era meglio così. Le differenze venivano meglio a galla, e io non facevo che meravigliarmi in continuazione.
Le cose rotte Il Brasile pieno è di cose rotte e sembra che col tempo abbia affinato una convivenza perfetta con i difetti e con le cose che funzionano a metà. Si chiama jetinho brasileiro. Hai presente quando dopo due anni non ti funziona più il cellulare e ti accorgi che bisogna dargli un piccolo colpetto per continuare a farlo funzionare? Col tempo l’abitudine di quel colpetto si integra perfettamente con l’uso del tuo cellulare, diventa un gesto compulsivo del quale nemmeno ti accorgi più, come il gesto di accensione o di spegnimento, o di ricarica della batteria. Colpetto dopo colpetto riesci ancora ad utilizzare quel cellulare ancora per molto tempo. Ecco che hai imparato a convivere con un difetto, come se ci avessi adeguato il tuo comportamento, se ti ci fossi modellato attorno. Il Brasile è un paese di eterni colpetti per far funzionare le cose… Gli italiani e i Brasiliani si somigliano, artisti delle cure più geniali, più che delle prevenzioni.
Gli Italiani a Salvador Gli italiani che incontri a Salvador, sono un estratto di Italia, una specie a parte, una categoria da studiare. C’è chi ha cambiato vita, chi ha cambiato moglie, chi ne ha solamente affiancata un’altra a quella in Italia, chi ha trovato l’amore in una bellezza locale vent’anni più giovane. Chi è arrivato convinto di trovare antiche esotiche culture, chi semplicemente in fuga, o semplicemente in vacanza. Per molti i tropici rappresentano una vera e propria fuga esistenziale (Vado in Messico cantava Vasco Rossi Voglio andare a vedere), l’arrivo di un viaggio in una ipotetica altra realtà. Costoro dopo un po’ si deludono. Il mondo infatti un po’ ovunque tutto uguale. Insomma ingenui compratori di souvenir, o viaggiatori della mente con sandali o braccialetti hippie, li riconosci sempre come riconoscibilissimi turisti, benché questa definizione possa andare ad alcuni di loro, un poco stretta. Che palle una settimana che va avanti questo forrò, mi dice una ragazza di loro, stufa di un genere musicale qui in voga. Prima o poi si incontrano pure quelli che ti spiegano filo per segno, con professionalità acquisita dall’ esperienza, il locale particolare su quell’isola particolare, il percorso tipico con cucina tipica. Sono i consulenti tecnici dell’edonismo, si improvvisano guide turistiche come se ci si trovasse a disneyland, nonostante questa città abbia parecchi cazzi per la testa in più di disneyland.Il loro edonismo tecnico stride con la realtà. O forse no. Forse l’edonismo è uno dei tanti tasselli di questo quadro variopinto.
Un capo Guardavo le facciate fatiscenti, ma bellissime, scorrere oltre il finestrino del nostro camioncino. Colorate di toni accesi, giallo azzurro verde acqua. Avanzavamo molleggiando su strade mal asfaltate, tra costruzioni consunte, sporche di vita, trasudanti e disinvolte: erano lo specchio perfetto dei loro abitanti. Le favelas che qui si chiamano invasões si erano moltiplicate con una velocità sbalorditiva e in pochissimo tempo. Brulicavano e proliferavano, come veri e propri esseri viventi animati da uno scandire del tempo rapido e tropicale.Lo stesso ritmo con cui le ruas di questa città sud-americana, brulicavano di bambini scalzi o al massimo in ciabatte di plastica e pantaloncini. Ai tropici non c’é vita, ma brulichio. Poi incontrammo uno della comunità. Aveva un fare ovviamente carismatico, da guappo napoletano: sfrontato e fanfarone. Si metteva al centro dell’attenzione gestendola con maestria, conoscendo a memoria le regole del suo gruppo. Della sua comunità egli era l’espressione più luminosa e il suo finto Rolex, pesante, non era una nota stonata in quel panorama di miseria, ma era un simbolo, la sua divisa, il complemento di un ruolo ben preciso: il capo. Si muoveva con gesti larghi, e lo spazio teatrale a disposizione delle sue braccia era ampio e gonfio d’aria. Era puro populismo allo stato grezzo e puro, rivelatore, senza tv mediaset senza adunate di massa. Era un populista in ciabatte e rolex finto, sporco di polvere, ma disposto a trattare.
L’ immagine e la realtà È’ curiosa la relazione tra la realtà di un paese e l’immagine che esso dà. Per esempio l’immagine del Brasile all’estero, affascinante e romantica per lo più cercata dal visitatore esterno. Il turista vuole un’immagine del Brasile. Paga per questo. Il posto si conforma a questa volontà. In un certo senso questo posto non rifugge d
all’etichetta che gli si dà, ma si sforza di confermarla. Sembra si riveda in continuazione negli occhi di chi lo guarda, alla ricerca di cosa sia. Probabilmente un gringo, uno straniero, ha un’immagine più definita, anche se semplificata e banale, di ciò che il Brasile possa essere, più di quanto la abbiano gli stessi brasiliani. Va a finire che questi ultimi, un po’ frastornati, si identifichino in questa immagine, non avendone un’altra altrettanto facile da consumare. E così, vedi eserciti di riscoperti capoeristi, novizi del candomblé un po’ improbabili, hawaianas (marchio brasiliano, ma paradossalmente marchio distintivo di ogni gringo) a tutto spiano calzate un po’ impacciatamene dai locali che le comprano proprio grazie ai turisti che le hanno comprate e mostrate prima. Il rischio dell’identità di Salvador, ma suppongo anche di altre città di marcata vocazione turistica di questa nazione-litorale, quello di conformarsi a teatrino per la volontà di turisti voraci in cerca di emozioni e esperienze esotiche.
Certi anziani Certi anziani che salgono sull’autobus qui a Salvador, mi ricordano i vecchi di paese di quando ero bambino in alcune fotografie degli anni 70. Pantaloni stretti in vita e sotto larghi a zampa, e con occhiali a goccia tipo Ray Ban, adesso inconsapevolmente ritornati di moda. Quei vecchi, che li hanno portati da sempre, sembra che lo sapessero…
Qualità La qualità la misura dell’estetica della vita. L’estetica la misura della qualità della vita. Essa infatti ha bisogno del godimento estetico per trarre respiro, tendendo all’infinito. Non è vero che la qualità la cerca solo il professionista intenzionato a massimizzare il plus-valore che ne ricava. Essa l’obiettivo di ogni uomo consapevole dei suoi sensi.
La città La città appaga la necessità di stare insieme, ma a patto del compromesso. Richiede organizzazione, quindi una realizzazione della razionalità umana, o un prolungamento più complesso dell’istinto. E’ o no l’uomo animale sociale? Mi piace l’aggettivo urbano, l’eleganza che esso evoca. La cura dello spazio pubblico segno di civiltà. Civiltà organizzazione delle coscienze, stabilire, mettersi d’accordo, facciamo così, coscienza e valorizzazione della sfera collettiva, consapevolezza dell’uomo di poter trarre il maggior vantaggio nel tempo, da una soluzione comune.
L’ anima L’anima di certe persone è fatta di muffa e uova di ragno. E tinta nera e sporca di carbone. Striscica e strascica, borbottando gorgogliando. Ho particolare interesse per le anime nere, per il nero di quelle anime: provo pena, ma anche curiosità. Di queste anime vorrei stare a vedere fin dove arriva il loro abisso e la loro pattumiera, spingermi fino al focolaio della loro nevrosi come nel peggiore e rischioso campo di guerra o nella più terrificante casa dell’orrore. Solo per poi poterlo raccontare ad un bar, di fronte a degli amici.
Il silenzio Il silenzio ha significati molteplici. Ha un ruolo ben preciso, evocativo, direzionale e le cose non dette sono importanti quanto quelle dette. Anche un discorso, o un testo, sono una costruzione architettonica, un meccanismo integrato di vuoti e pieni. I pieni segnano la chiarezza, manifestano, affermano. I vuoti permettono all’immaginazione di vagare, sono varchi potenziali in cui entrare.
Ritratto di un uomo che ho incontrato Viaggiava ad un’altra velocità. Gli eventi su di lui avevano un effetto lento, apparentemente. Ascoltava in silenzio e al termine del discorso taceva ancora. Ma quella reazione, nel suo silenzio e nella sua apparente calma, era immensamente potente
Cultura e moneta La cultura come la moneta. Se non si scambia non serve a niente. Imbalsamare una cultura, significa cancellarla: essa ha una caratteristica dinamica e vitale. Cambia sempre. Siamo tutti immersi in uno spettacolo di danza, in cui la coreografia non è fissa nè identificabile con una sola immagine in un solo momento. Niente protegge la propria cultura dal proprio naturale mutare
Populismo Il populismo lontano dal popolo, poiché ne stimola, appagandola, solo la parte periferica, sensibile ed emotiva. Tratta il popolo come un furbo tratta uno meno furbo di lui. Riesce persino a convincerlo di alcuni bisogni che non ha. E riuscito per esempio a convincerlo della giustezza di una guerra. O della necessità, qui in Brasile, di dover tenere una pistola in casa per essere sicuri. Gli ha fatto credere che fosse un bisogno. Il populismo è solo furbo. Per pizzicarlo bisogna imparare a capire i furbi. La riflessione, l’educazione, la cultura sono le principali nemiche del populismo.
Appuntamento La felicità data anche dalla consapevolezza di avere un appuntamento importante nel breve periodo.
Ritratto di una donna che ho incontrato era una donna con la testa oltre le nuvole. Credeva di essere Jassica Rabbit, si dilungava a proposito del suo erotismo, da quello sviluppava interessanti concetti filosofici. Che noia..Forse era proprio quella tendenza a voler razionalizzare tutto che tradiva la sua ingenuità.
Integrarsi Integrarsi in un luogo è in un certo senso perdere le proprie certezze per acquisirne altre, o valorizzarne alcune selezionando le più valide.
Ritratto di una donna che ho incontrato questa ragazza che chiamerò ragazza di bahia era bella alta e pettoruta. E ovviamente povera. Chissà quanti turisti avevano già rivelato a R.B. la sua bellezza. Come se lei non lo sapesse. Tutto inutile. RB gi sapeva di essere bella e quella bellezza era la sua sopravvivenza, il suo lasciapassare. Si poteva permettere di ridere dei complimenti che le facevano: ormai ne era immune. I suoi aspiranti dovevano inventarsi altro, lei aveva avuto già tutti i tipi di gioielli, tutti i tipi di complimenti, e, caso non comune, in tutte le lingue..
Ma continuava a procurarsene insaziabilmente con una disinvoltura bahiana e istintiva, con la stessa fame del povero. Cosa volesse, e cosa pensasse veramente nessuno di loro, in cappello e Hawaianas, lo sapeva..
La conversazione Una cosa avevamo in comune ed era la nostra sud-ità, o latinità, o non saprei come chiamarla, non saprei nemmeno se esiste davvero questo concetto. So solo che era una cosa che ben caratterizzava chi era dei posti caldi. Era quel modo di parlare movendo le mani, di ridere a bocca aperta battendole, di comunicare a raggio breve nel tempo e nello spazio, di dare importanza a sensazioni momentanee, quasi superficiali, ma importanti perché condivise. Quel gusto intimo e amichevole per la conversazione che durava ore e che non portava da nessuna parte.
Schiavitù Fino al 1851, 4.507.940 africani (fonte: museo afro-brasileiro da Bahia) furono trasportati in Brasile per il lavoro da schiavi. La maggior parte di loro proveniva dal golfo del Benin: Nigeria, Benin, Togo, Ghana, Camerun, Congo e Angola ,il principale scalo della tratta dopo il XVII secolo. La schiavitù è durata a Salvador fino alla fine del secolo scorso. Pochissimo tempo è trascorso da allora. E in parte gli effetti di questa pagina nera della storia dell’uomo si vedono ancora adesso. La schiavitù in questo paese è durata quattrocento anni. Probabilmente la legittimazione sociale, non solo legale, di questo fenomeno fu alla base della sua persistenza. Si conveniva socialmente che la schiavitù fosse giusta. Gli schiavi (per la maggior parte africani e afrodiscendenti), nonostante le battaglie e le rivolte, per lungo tempo accettarono fatalisticamente il loro destino, all’interno di una giustificazione sociale. Loro non sapevano, non conoscevano i loro diritti di uomini. Prima di tutto erano schiavi di ciò che ignoravano. La schiavitù è una condizione ben più vicina al nostro quotidiano di quanto immaginiamo. Quante sono le cose che ignoriamo? Di quante cose, quindi, siamo noi inconsapevoli schiavi?
Distanze e tempo Un chilometro o mille quasi non fanno differenza. E Google Earth ci fa vedere che il mondo davvero piccolo e finito: si può far rimbalzare come una palla, quasi umiliando le dimensioni! Le distanze e le dimensioni valgono solo nella misura in cui si disposti a contemplarle con lentezza. Cos il tempo.
CaribèL’ornamento la riappropriazione di un gesto contro le leggi di mercato, perché ha bisogno di tempo, quindi di denaro, non banalizzabile, nè massificabile. In quanto artigianale non è riproducibile in serie. Facilmente esso può non piacere a tutti. Ha un valore semantico proprio e unico nell’universo. L’artista Caribè rappresenta gli Orixàs del Candomblé (la religione afrodiscendente delle favelas di questa parte del Brasile), interpretando l’ornamento dei loro vestiti in maniera sintetica, fluida ma vigorosa. Con rapidità esibisce i motivi floreali di Ossaniyn, le collane pesanti di Xango, il copricapo di Oxaguiam, i grandi listoni decorati che, sovrapponendosi in modo degradante, ricreano la figura Bab Abagda. Caribè effettua una vera e propria rappresentazione sintetica, ma potente, di ogni Orixa, conferendo un impulso vivissimo e moderno alla tradizione iperfigurativa del Candomblé .
Narcisismo Disse uno che incontrai: il narcisismo un oceano in un piccolo angolino del pianeta del mio essere. Me ne tengo lontano: se mi capita di entrarci mi ci perdo. Me la scrivo, gli dissi.
L’ amore E’ un piano di bisogno da cui non possibile affrancarci. No, meglio, è una tensione verso ciò che si vorrebbe essere o si sarebbe voluti essere, o magari no, la necessità di condividere con un altro l’idea della prop
ria identità. Il potere dell’amore probabilmente in questa necessità. Il naufrago Tom Hanks di Cast Away ricorre ad uno stratagemma disperato pur di risolvere questo bisogno. Il suo compagno è un essere che non è più un pallone di plastica con una faccia disegnata sopra, ma è il suo solo interlocutore esistenziale. Col termine amore semplifichiamo un concetto complesso, che in realtà è l’incrocio nevralgico e sfilacciato di più concetti che in esso confluiscono.
La povertà A Salvador ho visto, per la prima volta in vita mia, la povertà. Ho visto cosa sono veramente i ricchi e i poveri, due realtà identificabili solamente in virtù della loro divisione: più sono separati pi esistono. Ho conosciuto l’atteggiamento degli uni rispetto agli altri. Le paure di entrambi, diverse, ma intense. Gli umori. Perfino la musica che ascoltano gli uni e gli altri. C’è qualcosa nei poveri che influenza i ricchi. Ma lentamente, perché questi ultimi hanno paura e non si lasciano sempre andare. Pensate a quanto tempo c’ha messo il Rock per diventare bianco. C’è voluto Elvis dopo decenni. L’incomunicabilità è grande. Ma qualcosa cova e i poveri riescono sempre a cambiare le cose. Esempio: il venditore di collanine di Praça da Sé non ha paura, anzi, è disinvolto, vivo per necessità: sveglio e vitale. L’americana in bikini in vacanza studio, ricca, ha paura quasi di tutto. Non improvvisa, non parla con gli estranei, non cerca di integrarsi, non esce dal suo gruppo.
Musica La seconda lingua del Brasile è la musica! Così recita uno slogan pubblicitario. E’ vero: i generi sono molteplici e si contaminano. Certi artisti geniali, arrivano a malapena alle nostre latitudini. Lo stesso portoghese viene portato a livelli lirici che purtroppo non permettono adattamenti in italiano. E il caso per esempio di Chico Boarque, o di Caetano Veloso, soltanto per fare due esempi in un panorama illimitato. Artisti che nella loro carriera si sono re-inventati in continuazione, producendo opere di qualità infinitamente migliore di molta musica commerciale internazionale. Una grande parte del patrimonio culturale di questo paese è proprio quello che stato prodotto dalle energie creative musicali. Tanto che ormai, la cosiddetta MPB, Musica Popolare Brasiliana, che mette insieme i ritmi una volta poveri di Samba, Bossa Nova, Forrò, Axé, non ha proprio niente di popolare: piuttosto ormai musica colta.
I veri ritmi popolari, sono l’arocha, il funky (rivisitazione dell’omonimo inglese), lo stile della banda calypso. Tormentoni nauseanti di questa musica vengono fuori dai mega-altoparlanti delle invasoes (favelas) della città, dei mercatini all’aperto, delle spiagge. Ma come successe per la Samba, anche questi generi stanno partendo dal basso, dal popolo, dai poveri. Qualcuno se ne accorgerà, sviluppandoli, raffinandoli. Prima o poi, aggiungeranno un capitolo nuovo alla cerchia colta della MPB.
Ritratto di un boemio che ho incontrato non sembrava certo ricco, ma la sua immagine esprimeva la più alta e la più acuta delle dignità. Era un boemio reale, trasmetteva l’impressione di vivere con interezza la sua vita, una vita modello, invidiabile. Lui aveva toccato la polvere eppure aveva abbracciato l’oro. Aveva conosciuto infinite gradazioni emotive e ne riusciva adesso a distinguere le sfumature e descriverle. Riusciva a raccontarle. Parlava coi poveri, ma avrebbe potuto insegnare le buone maniere persino al re di Inghilterra. Sembrava che la sua esperienza tra gli uomini lo avesse modellato, scalfendoli ogni piccolo difetto, portandolo ad essere ciò che era.
Ritratto di una donna che ho incontrato
Lei era esperta. Aveva una certa età quindi era esperta e sveglia. La sua maestria nel valutare un uomo non consentiva a quest’ultimo nessun altra strategia che non fosse essere se stesso. Un uomo di fronte a lei era quello che era. Lei lo lasciava semplicemente fare..
CandombléThey are coming to teach us good manners, but not wont succeed, because we are gods ‘Vengono per insegnarci le buone creanze ma non lo potranno fare perché noi siamo dei’. Principe di Salina, Il Gattopardo Come tutte le grandi culture ossessionate dalla loro decadenza, anche il Candomblé è segnato da un forte senso di superiorità. Mi ricorda certi atteggiamenti di orgoglio dello splendido popolo siciliano, denso di cultura e tradizioni secolari, ma sempre “annesso”, mai parte veramente rappresentativa nessun patinato stereotipo occidentale. Un popolo che sente minacciata la propria identità, ricorre all’orgoglio. Come un fidanzato che sta per essere lasciato. Vi ricorre per paura, poiché è consapevole del pericolo della sua scomparsa. MI DEVI CHIAMARE VESCOVO DEL CANDOMBLE!!!, pretendeva uno dei più facinorosi che incontrai. Era un capo-popolo, elemento di
colore del gruppo. Aveva un ciuffo di capelli, eretto in modo tale che fosse il più in alto possibile. La sua altezzosità era teatrale e in vari momenti si mostrava ridicola. Quel gruppo era il suo pubblico, quel posto il suo palcoscenico.
Estero. Il Brasile vede l’estero, come un pezzo unico, una cosa sola. Non importa se Europa, USA, Asia: estero, straniero, gringo. Dire viene dall’estero sinonimo di garanzia. Lo trovi scritto anche sui prodotti come le scritte “senza zucchero”, o “certificato dai dentisti”. Trovi “Prodotto importato dall’estero”..
Inoltre il caffè migliore va all’estero. Le banane migliori, pure. I calciatori anche. Le grandi multinazionali qui presenti sono estere. Insomma, insieme al paradiso, l’inferno, la televisione, Dio, la bandiera e la Petrolbras, l’estero è un altro dei luoghi comuni dell’immaginario di questo popolo, un icona della cultura POP brasiliana.
Povertà e denaro La povertà non ha solo a che vedere col denaro. L’educazione molto più importante. Attraverso le buone maniere e la riflessione sulle cose che l’istruzione induce, un individuo riesce ad avere maggiore coscienza di sé e farsi rispettare di più. Le barriere di integrazione tra le due classi sono soprattutto inerenti all’educazione.
Ritratto di un uomo che ho incontrato Lui era basso di istinti, andante curvo, parente degli animali più selvaggi fuggiti dalla foresta amazzonica, senza grazia nei movimenti. Stadio evolutivo molto arretrato, imbarazzato nella società di cui ignorava le regole e imbarazzante per la società stessa. Lui faceva il protettore di prostitute, e le trattava queste ultime con fare da homo arcaicus. Calvo, corpulento e represso. Non era mai stato un bel essere, forse, nemmeno da piccolo. Ci doveva essere un motivo per cui la sua anima era cos fuligginosa.
Parole Le parole per definire gli oggetti sono solo convenzioni applicate a elementi che consideriamo statici. In realtà ogni elemento è legato all’altro e ne è integrato. Ogni elemento è integrato al suo contesto. Lo è nello spazio e nel tempo. Sono questi legami spazio-temporali ad aver bisogno di parole, questi non luoghi del lessico e dell’immaginario. Spesso infatti non le hanno nemmeno, non esistono, essendo significati, gradazioni, quasi impercettibili.
Ritratto di un uomo che ho incontrato Aveva sempre poche parole, era silenzioso, ma efficace nei gesti. Si potrebbe dire un minimalista del comportamento. Prese la cachaça, fece un cocktail, era buono. Era stato bravo. Poi sedette in un angolo, ma non so come, riusciva a essere perfettamente presente. La cachaça era stata buona. Pur non avendo nessuna caratteristica particolare, quell’uomo mi incuriosiva. Non ballava, non rideva a voce alta. Parlava garbatamente. Alla fine è andato via, ha stretto a tutti la mano, ed è uscito. Il meno il più. Senza fronzoli.
Parole di un uomo che ho incontrato
Ero molto punk, da adolescente, poi sono cambiato. Ma non troppo: voglio solo dimostrare che si può essere punk, anche con le buone maniere. Pensai è vero. Antonio De Curtis, ad esempio era un perfetto punk dalle buone maniere. Un signore anarchico, insomma.
Questi sono alcuni appunti presi durante il mio soggiorno di sette mesi a Salvador, stato di Bahia, Brasile. Sono sotto forma di pensieri aperti che si aprono e si chiudono in sospeso, non insegnano a vivere, ad aumentare la produttività di un’azienda, o a capire il mondo. Sono solo pensieri costruiti con forma definita e aerodinamica, come pesciolini guizzanti che passano per un momento.
Insomma, nello spirito del blog.
Avrei voluto aggiornare quest’ultimo di continuo, ma non ne ho avuto il tempo, visto che, tengo a precisare, di mestiere non faccio lo scrittore. Approfitto delle vacanze di Natale, quindi, per tirarli fuori dal mio blocchetto. Li libero lasciandoli nuotare nell’universo virtuale, spedendoli nell’Oceano Pacifico dei concetti e delle relazioni tra idee. Se li avete cercati o se li avete visti accidentalemente passare e siete rimasti a guardarli, perfino se avete deciso di seguirli per un po’(ma lo avete gi fatto arrivando fin qui), ve ne sarò grato. Auguri a tutti quelli che mi leggono e mi esortano ad aggiornare questo blog.
Una risposta a Appunti di un soggiorno