Mi ricordo di quando una mano gigante mi scrollava, alle 7 e qualcosa in punto. Non riuscivo a capacitarmi: un uomo di una certa età, io di un’altra,…eppure quando mi svegliava sembrava che su di me si fosse posata una mano fuori scala: come se il mio corpo fosse ancora quello di un piccino di 10 anni. Oggi lo giudico come un effetto vibratorio dello…scrollo.
Assonnatissimo, ma ligio al dovere, riuscivo ad alzarmi. Rimanevo alcuni secondi seduto sul letto, giusto per prendere coscienza di essere atterrato sul pianeta Terra, con la testa ricurva verso il basso come un ubriaco. E poi via…prima colazione a suon di Gocciole affondate nel caffè e la sigla inconfondibilmente tagliente del Tg5, che trivellava pimpante ogni timpano assopito che andasse in giro per la casa a quell’ora.
Ricordo le mattine d’inverno con la nebbia, nel mezzo di un moderato transito…solo perché eravamo usciti un quarto d’ora prima degli “altri”. Raggiungevamo la Stazione. L’unica.
Mi ricordo di una mattina, di passaggio sul cavalcavia come di consueto, quando trovammo la polizia al lato di uno scooter di grossa cilindrata riverso sull’asfalto. Al suo fianco, un telone copriva un uomo con i capelli lunghi, forse alto più di me.
Ricordo che pensai: deve aver salutato sua moglie a casa, forse una moglie bionda, più bassa di lui, forse salutata con un saluto affettuoso, o un saluto normale, atono. Forse un non-saluto, forse non ci fu saluto nessuno. Forse ci fu una bella litigata mattutina, magari le tossine di qualcosa della sera anteriore.
Sarebbero stato l’ultimo atto di vita che avrebbero “sentito” di quell’uomo.
Ricordo la Gazzetta letta sul treno, seduto, mentre guardavo gli altri soffrire il viaggio in piedi. Godevo. Ricordo la sana puzza della Gazzetta, che mi sporcava le dita.
Ricordo la Gazzetta letta sul treno, seduto col giubbotto anche quando avevano accesso il riscaldamento. Ma la sciarpa dovevo proprio togliermela!
Ricordo che leggevo, d’inverno. Perché fuori dal finestrino c’era un panno bianco. Qualche arbusto più vicino alle rotaie era l’unica cosa che ci faceva capire che il convoglio viaggiava sulla Terra e non in cielo, in mezzo ad una perturbazione che non provocava scossoni.
Poi mi ricordo le attese infinite al ritorno, per prendere l’autobus che avrebbe dovuto portarmi celermente dalla Stazione a casa, nell’ultimo quartiere della mia città, prima dell’inizio della provincia vicina.
Mi ricordo che arrivò il giorno in cui decisi di dare più fiducia al mio scooter. Era l’epoca in cui non avevo orari in facoltà. Alcuni corsi erano infrequentabili, quelli da frequentare erano già stati frequentati. Mi ricordo che partivo sulla tarda mattinata, o nel primo pomeriggio, e ritornavo la notte. All’andata ero tutto felice perché andavo “al lavoro” in orari non di punta, quando gli altri già soffrivano in ufficio.
Ma ritornavo distrutto, quando gli altri erano già in pantofole e lo spettacolo in prima serata lo avevano visto già per metà.
Mi ricordo di una volta in cui feci l’eroe: uscii di casa e dopo 10 metri vedevo scendere i primi fiocchi. Al ritorno la città era solo neve. Il sellino ripulito dalla neve e coperto da una busta trovata nel portaoggetti e poi via, dietro le macchine, a seguire la fila perché ai lati della strada c’erano delle colline di neve. E la poppa dello scooter andava per i fatti suoi come il di dietro di una brasiliana. Ricordo che vicino casa, nel mezzo del traffico congestionatissimo, vidi scendere dalla macchina un signore dell’età di mio padre…per andare a raccogliere un tipo che era caduto col SUO, di scooter. Ricordo il ritorno nella casa calda, e il cibo divorato. Assieme ad un pane deliziosissimo con il gorgonzola che ungeva e coibentava il tutto.
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