Ed intanto, ieri notte, zitti zitti, “tomo tomo, cacchio cacchio”, in zona Martim Moniz, hanno fatto capolino alcune persone sospette. Degli individui corpulenti, quindi qualcosa o qualcuno che non aveva nulla a che spartire con i piccoli aiutanti di Babbo Natale. Ma sembravano ugualmente operosi. Li ho visti scendere da dei grandi furgoni bianchi parcheggiati prepotentemente sul marciapiedi. Si muovevano in fretta. Alcuni portavano a tracollo degli spessi cavi arrotolati. Dei loro compari erano intenti a montare delle file ordinate di casette in legno. Sono quei chioschetti che si vedono anche nei mercati natalizi delle nostre città. In Italia queste architetture vogliono farci fare un tuffo nelle piazze dei nostri paesini d’alta quota, ma qui a Lisbona, con l’Oceano a un passo, diciamoci la verità: che cavolo ci stanno a fare? Fa caldo, per cui di certo la scenografia non mi porta alla memoria l’Asiago di Mario Rigoni Stern. E però, tra due mesi siamo tutti a tavola per la cena della Santa Vigilia, anche se il conto alla rovescia comincerà ufficiosamente solo dopo Halloween, quell’oscura festa celtica che gli Stati Uniti hanno riscoperto e reinventato alla grande, come solo loro sanno fare. Bravi. Sul marciapiedi ho visto anche delle cataste di strutture metalliche ricoperte di vischio.
Luminarie in fase di montaggio, qui a Lisbona. Mentre già dall’inizio di ottobre sono ricomparse le vecchie comari con i loro forni di metallo ambulanti. Hanno preso posto agli angoli delle strade, come ogni Natale. Smerciano castagne arrostite, nemmeno lontane parenti delle nostre affettuose caldarroste. I frutti molto antichi hanno una buccia poco abbrustolita e si presentano ricoperti da una strana polvere d’angelo. Cloruro di sodio, mi dicono. Ma la risposta è poco soddisfacente. E nel mentre qui in città ha riaperto i battenti, questa volta in località Lapa, una delle più singolari librerie del Paese. Singolare, perché dedicata interamente alla poesia. Nel lontano 2012, quando il titolare chiuse per motivi personali, era l’unica in Portogallo specializzata in questo campo. Chiuse con un attivo del 20%. Chiudere con un attivo del 20%: è così che si scrive, in “economese”? Oggi provano a riprendere un discorso interrotto 6 anni fa e mi piace pensare che la cosa avvenga con uno spirito stile: “dove eravamo rimasti?”. Che a noi italiani, purtroppo, suona tanto familiare.
Sono andato a visitarla e ho rotto il ghiaccio chiedendo di essere “iniziato” alla poesia contemporanea brasiliana. Perché il Brasile e Rio sono passioni indelebili. Così come il “brasiliano”, che per me, uomo volutamente rozzo e ignorante, è la lingua che si parla in Brasile. Una squisitezza sonora. Il titolare mi ha messo in mano un libro che è un’antologia redatta da Adriana Calcanhotto. Eh!, la famosissima cantautrice di Porto Alegre dal cognome sospettosamente italiano (la pronuncia è “calcagnotto”). Dopo il pagamento, è entrato in scena il professionista. Sa, ho detto, io sono un architetto italiano, vivo qui da alcuni anni e vorrei proporle un progetto (culturale).
Raccontare l’architettura attraverso la poesia non dev’essere qualcosa di particolarmente innovativo, ma io nutro la speranza che sia un esercizio per lo meno raro, in quella casa. Il titolare mi ha subito messo in mano un paio di antologie ed in ognuna di queste mi ha indicato una poesia sulla casa. Poi è stata la volta di un libro di un famoso giornalista, Manuel António Pina. “Come si disegna una casa”, altra raccolta di lirica.
Chiederemo ai poeti di scrivere qualcosa sull’architettura. Architettura in versi, per così dire. Così. Solo per vedere cosa ne esce fuori. Cercheremo di smuovere un po’ di gente. Far credere loro che stiamo creando qualcosa di interessante. Promuovere un’illusione, anche solo per un attimo, una bugia bellissima, ma fatta bene. “E allora io considero che, si dovrebbero fare le cose bene, perché non c’è maggiore soddisfazione di un lavoro ben fatto. […]. Un lavoro ben fatto è quello che appaga l’Uomo. Io coltivo l’orto e qualche volta, quando vedo le aiuole ben tirate, col letame ben sotto, con la terra ben spianata, provo soddisfazione uguale a quella che faccio quando ho finito un buon racconto.” (Mario Rigoni Stern, intervista, 1999)
Totò, “Il mostro della domenica (Capriccio all’italiana)”
Adriana Calcanhotto, “Mais feliz”
Mario Rigoni Stern, intervista di Marco Paolini, 1999