Stamattina volevo iniziare scrivendo una sorta di mini-serie, per raccontare in chiave ironica-comica-drammatica, le disavventure che spesso si incontrano quando abbiamo la fortuna di avere un cliente e un appartamento da ristrutturare…
Ma prima vorrei dire due parole (rendendomi così ancora più logorroico). Non sarà carino, non sarà elegante, non avrà stile. Ma ormai mi hanno stancato. Mi hanno veramente stancato.
Mi nonna, buonanina che aveva vissuto la guerra, quando vedeva noi bambini fare capricci perchè non volevamo mangiare “questo” piuttosto che “quello”, diceva sempre “A voi, ci vorrebbe una botta di miseria!“
E allora…
A tutti i professionisti, le società, le aziende scorretti
A tutti voi che “producete” lavoro ma avete la coscienza sporca di decine e decine di contratti mai fatti, di giovani spremuti per i vostri scopi, per le bugie raccontate, per i diritti violati…
A tutti voi che non avete mai conosciuto la fame, il bisogno di pagare l’affitto, le bollette, la spesa, perchè mamma e papà erano ricchi e non voi bravi…
A tutti voi che i soldi non li avete MAI guadagnati per capacità, forza, merito, ma perchè ricchi di famiglia, perchè sposati o imparentati a qualcuno che li aveva, perchè vi siete costruiti la vostra micragnosa fortuna sulla pelle degli altri, non pagandoli, pagandoli male e cacciandoli quando vi chiedevano quanto gli spettava di DIRITTO, e siete consapevoli delle vostre assolute incapacità manageriali, della vostra disgustosa mediocrità che vi pone al di sotto del peggior venditore di fumo
A tutti voi, novelli sfruttatori, che ci raccontate balle circa la vostra voglia di investire nei giovani e che mantenete in vostro disgustoso impero facendo poggiare le sue basi sulla fatica altrui, lì dove voi non avete mai sprecato una goccia di sudore e poi avete anche il coraggio di definirvi “democratici” e di “sinistra”, solo perchè riciclate la carta o una volta l’anno arruolate un universitario (pagandolo SEMPRE e CMQ una miseria)
a tutti voi, io auguro una BOTTA DI MISERIA. Di miseria vera.
Ok, ora mi sento meglio. Scusate lo sfogo amaro…
Veniamo a noi…
Ma perchè bastonare solo i datori di lavoro? Santo cielo, non siamo mica dei bruti!
Parliamo dei clienti…
Ovviamente, va detto che i “buoni” e i “cattivi” li abbiamo sia da una parte che dall’altra. Ci sono datori di lavoro corretti, che combattono con lavoratori un “tantino” scorretti, e viceversa.
Così per i clienti! Ci sono quelli che ti dicono “Vai! Credo in te” (probabilmente estinti) e quelli che, dipendesse da loro, dovresti lasciargli il timbro a casa, così si fanno le cose come gli pare, perchè tu non conti nulla, perchè loro hanno un feeling particolare col costruttore/proprietario dell’impresa edile etc etc…
Io ho un po di esperienza nel campo: ho lavorato da quando mi sono iscritto all’uni, per lo studio di mio padre (e sul lavoro con i parenti, parleremo adeguatamente in seguito) e per altri (architetti, geometri, ingegneri, imprese edili). Ho già affrontato il tema “cantiere” e me li sono trovati davanti i “clienti”: figure mitologiche, mezzi uomini e mezzi piagnistei.
Il cliente, specie a inizio carriera, è il papà di un amico o di un’amica, un parente o un collega di un parente.
Alla presentazione è tutto uno strette di mano, pacche sulle spalle, inviti a cena (come se io la mia famiglia la mantenessi con gli inviti a cena… o Dio, certo: se mi presentassi con tutta la tribù a seguito, almeno il pasto lo avremmo svoltato!). I primi pensieri sono da impresario di Broadway: vetri colorati alle porte con le piombature, infissi legno-alluminio, invertire zona giorno e zona notte, ampliare il soggiorno, espropriare una stanza al vicino, costruire un ponte di barche per oltrepassare il reno ma solo per spaventare i Germani, consolidare le nuove conquiste in Gallia, mettere in senato dei nostri uomini. Stordito da tanta passione per l’edilizia, tu, novello Apollodoro di Damasco, fai presente che senza planimetria non si va da nessuna parte. Risatina compiaciuta del cliente che ti presenta una vecchia carta catastale col timbro “regio catasto” (probabilmente di incommensurabile valore storico). Fai presente che potrebbero essere cambiate lievemente le cose e forse è meglio se rilevi nuovamente l’immobile.
IL RILIEVO
Dio ragazzi, che meraviglia. Il primo impatto VERO col cliente lo si ha qui. Prima di tutto una lotta forsennata per partecipare! Il giorno del rilievo si presentano TUTTI: cliente col vestito “buono”, consorte con collana di perle, nonna ultra-centenaria che non usciva di casa dalla grande guerra e ricorda distintamente quando in Italia c’erano i tedeschi (i lanzichenecchi, non i nazisti), cane, figlio scazzato che stava battendo ogni record con la PS2 ed è stato sdradicato dai genitori dal suo gioco (normalmente è la madre che lo costringe: spera che standovi vicino, il pargolo rimanga folgorato dall’architettura, decida di intraprendere la carriera e dia una mano alla mamma la prossima volta che a questa verrà in mente di spostare i divani. Darle una mano, nel senso di convalidare con la “scienza” le sue assurde teorie compositive e di arredamento, limitandosi a sollevare il divano, spostare il divano e poggiare il divano). Tutti RIGOROSAMENTE con il metro (qualcuno con quello di carta di Ikea). Piuttosto meravigliato (fa sempre impressione, a un professionista, lavorare con un pubblico talmente numeroso), prendi la tua borsetta da cui estrai l’inseparabile metro-laser (“Ohhhhhh” di ammirazione dei presenti, che ti fanno un po rimpiangere il non aver mai sensito quella mini-ovazione da nudo). I più evoluti hanno il portatile o il palmare, ma è molto difficile lavorare su questi strumenti, specie la prima mezz’ora, quando il display è tutto appannato perchè gli astanti ci alitano sopra (E LASCIATEMI SPAZIO!!!).
Ora, non so voi ma io, normalmente, le misure me le ripeto a voce alta. Non per teatralità, ma per ricordarle il tempo sufficiente di scriverle o riportarle sul portatile. E’ incredibile cosa “diventano” 1 metro e 20, nel tempo che trascorre tra la rilevazione e l’estrazione di carta e penna!
Ma per il cliente è come assistere alla realizzazione di un abito su misura. Tu stai lì… tranquillo. Misuri. Leggi a alta voce:
“2 metri e 58” Vociare sommesso. Ti guardi attorno un po come il professore che ha sentito un commento durante una lezione
“1 metro e 39” Commenti del pubblico. Avrai deluso le loro aspettative? Una misura a ribasso… ma no, è solo per la suspance!
“3 metri e 74” Rumori in sala, quale gridolino eccitato. Sorridi compiuaciuto. Sei un piena Ouverture!
“4 metri” Applausi a scena aperta. Un nuovo meraviglioso successo che troverete in edicola in dvd in comode uscite settimanali.
Ovviamente la seduta di lavoro prosegue, con domande di ogni tipo (assolutamente non pertinenti e spesso assurde): “Ma qui mi ci entra l’armadio archité?” (ovviamente senza comunicare alcuna misura), “Questa di che colore la facciamo archité?” (cosa? La porta? La parete? La cucina? La nonna che avete poggiato all’ingresso appena entrati?) “Ma ha visto che panorama archité?” (Ma questo in cui ci troviamo, non è lo sgabuzzino cieco?) “Ma che questo è il bagno archité?” (Mi dica onestamente: quando è l’ultima volta che ha
visto una camera da pranzo col bidet?) etc etc.
Una volta terminato il rilievo, avete davanti gli occhi la planimetria finita. PER AMOR DI DIO NON ANNUNCIATELO A VOCE ALTA! Ho commesso questo errore una volta… è stato come guardare la Gioconda al Louvre! Gomiti piantati nei fianco, tre teste davanti la faccia, gente che passa avanti con nonchalance.
La fissi per qualche minuto, cercando di intuire il passaggio delle travi e la disposizione dei pilastri. Dove potrebbe trovarsi la colonna degli scarichi? E perchè questo corridoio fa questo giro strano? Già forte di 30 minuti di esperienza, queste riflessioni le fai nella tua mente, al fine di evitare l’ennesima conferenza stampa, e punti deciso verso la camera da letto. Sei quasi sicuro che lì ci sia un pilastro. Ora, come si fa a rilevare la presenza di un pilastro in una parete? Certo, se non è in rilievo… chi l’ha domandato? Si è infiltrato qualche cliente tra i lettori? Si “bussa”. Se suona “pieno”, è un pilastro. Se suona vuoto, è un semplice tramezzo. Vi avvicinate alla parete. La guardate bene, anche controluce, per capire se la presenza del maligno è individuabile da piccole crepe (differente dilatazione termica degli elementi), o magari da un tramezzo posticcio. Io a questo punto, in genere, mi diverto. Noterete con la coda dell’occhio che tutti seguono i vostri movimenti, in modo perfetto. Un po come quei mimi di strada, capirci… Inizi a battere la parete. E’ una miscela particolare, quella richiesta: tatto per la solidità del manufatto e orecchio per il rumore del colpo sul muro. Questo mix è fondamentale per individuare un pilastro. Una volta che avete iniziato (e ovviamente interrotto, fatta ripetere la domanda, spiegato cosa state facendo e ripreso), TUTTI si mettono lì con voi a bussare sulla parete. Bestemmiate, rinunciate e stabilite che quel pilastro lo troverete in pianta o in cantiere.
La seduta è conclusa. Fate la conferenza stampa di rito, rispondete a tutte le domande e poi riferite l’iter: vi serviranno circa 7 giorni per un primo progetto di massima. Una volta “chiacchierato” sul progetto di massima, si stenderà quello definitivo. A quel punto avrete tutti gli elementi per il computo metrico e potrete far “partire” i preventivi. Venite guardato come il salvatore! Vi vengono promessi, in un crescendo, bottiglie di vino, fiori, frutta fresca, un agnello, giovani vergini, un giorno festivo tutto vostro, sacrifici umani.
A QUESTO PUNTO, un architetto intelligente, parla del proprio compenso, facendo presente che dovrebbe avere un piccolo anticipo almeno per le spese iniziali… ma io non rientro nella categoria, e faccio passare in cavalleria pensando “mi farò pagare al prossimo incontro!”, ora pensiamo al progetto…
12 risposte a data stellare 23.11.2006