Sono stata un’ora ferma, rannicchiata sul divano, a osservare la sera che calava su Fitzjohn’s Avenue, a contemplare alla luce soffusa dell’abat jour la perfezione di questo momento. Ho capito, dalla sera che scende sempre prima, che sta arrivando l’autunno…lo sapevo dal calendario, certo, ma non avevo mai avuto il tempo di viverlo addosso, di sentirlo scivolare dentro, di vederlo. Questa ora nel calore della mia casina, nell’intimità del mio plead, mi ha rimesso in pari coi pensieri, con le stagioni, con la mia vita. Per la prima volta dopo troppo tempo non ho pensato forse, o ho pensato cose leggere che non lasciano il segno, come ali di farfalle. Ho viaggiato, però, molto. Mi ha fatto compagnia l’Eleonora che, tre anni fa esatti, si preparava alla grande avventura. E che l’autunno lo vedeva dipinto nelle Crete, livido e di una bellezza primordiale, che toglie il fiato.
I pensieri dell’Eleonora di allora e dell’Eleonora di adesso si sono intrecciati, fusi, i piani temporali smorzati e sovrapposti. Le energie rimescolate e rinvigorite. “Settembre è il mese del ripensamento” canta Guccini, ma farei volentieri a meno del “ri” per rinominarlo “pensamento”, se volesse dire qualcosa. Sento che qualcosa sta cambiando, che Londra con la sua bellezza d’avorio, struggente, inizia ad assumere i colori pastello del ricordo, i contorni immobili della fotografia. Non so ancora per quanto tempo rimarrò ancora qui, Londra ti strega e inizia a scorrerti nelle vene nel momento esatto in cui inizi a capirla, e da allora ti rapisce, rapisce ciascuno a modo suo. Una nessuna e centomila, sa agire come il canto delle sirene sulle corde di tutti. Questo ultimo anno è stato eccezionale, ed altrettanto eccezionalmente è volato via. La scorsa primavera è stata credo la più bella della mia vita, profumata di scoperte, di Londra vissuta in sella ad Orazia, di sogni che si avverano, di sabbia rossa della Giordania, di brezza fresca che senti prima alla bocca dello stomaco che sul viso. Felicità pura e impalpabile come come la luce del mattino, che ha lasciato un segno profondo, una scatolina che contiene pura vita. Più volte ho pensato che una primavera così emozionante fosse stato il picco più alto che ho mai raggiunto a Londra. E che, inevitabilmente, segnasse l’inizio della parabola discendente. Non c’è una ragione, come spesso non c’è nelle cose che si sentono “di panza”. Amo Londra come la amavo questa primavera, e proprio per questo forse è arrivato il momento di iniziare a pensare di lasciarla, perchè me ne rimanga il ricordo pulito e colmo di affetto, dorato, prima di arrivare a detestarla, come mi dicono che a un certo punto, quasi in modo irragionevole, succede. Si arriva a saturazione, come si arriva a saturazione della cioccolata e delle giostre da bambini. Io non voglio oltrepassare la soglia, non voglio vivere nemmeno un giorno qui volendo essere altrove. Sapevo che sarebbe arrivato naturalmente il momento in cui avrei capito quando….sarebbe arrivato il momento. Ho anche imparato a non prendermi mai sul serio e a convivere con le mie personalissime montagne russe, per cui di sedute immobili sul divano ne occorrerebbero milioni. E non basterebbero. Per cui diffidate di queste righe, questa è l’unica cosa che posso affermare con totale certezza. Ma il distacco, impercettibile, forse è cominciato. E forse sta finendo questa meravigliosa vacanza a cavallo dei trent’anni. Si cresce a un certo punto, in tutti i sensi, e forse dopo aver cercato qualcosa, essere venuta fino qui per ottenerlo, averlo ottenuto, assaporato, dopo essermici rotolata dentro e aver fatto le fusa – ora sono pronta per un altro traguardo. Quale esso sia è un mistero misteriosissimo, ma confido in ulteriori sedute sul divano a contemplare la sera che cala. E la perfezione di questo momento.
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