alla fine doveva succedere. dopo due settimane di soci alla fine sono soccombuta. e vi ho abbandonato…ma l’intervento numero due si è rivelato più complesso di quello numero uno, per una serie di fattori legati all’impresa, ai soci stessi che erano più ostici (diciamo così), all’organizzazione generale.
aggiungiamoci il fatto che comunque non ho mai voluto rinunciare alla pedalata mattutina, e il fatto che in cantiere iniziamo alle nove (fate due conti per capire a che ora mi alzo), che la sera prima delle otto e mezzo non finiamo mai…insomma, quando rientro a casa mi faccio una trasfusione di un paio di litri di sangue e in qualche modo raggiungo il letto. un grande applauso infine al genio che ha fissato la lezione conclusiva del corso di specializzazione sul restauro di parchi e giardini ieri alle tre, sotto il sole di firenze. quella è stata, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’equivalente di una fucilata in mezzo agli occhi. per gli amanti delle emozioni forti, infilatevi in una lavatrice e selezionate il programma “molto sporco“: la temperatura e il grado di umidità che apprezzerete sono pari a quelli di un pomeriggio fiorentino. e chiudiamo qui.
solleticata da una serie di post e interventi che ho visto a giro sul blog, mi permetto di servirvi espressa la storia della mia esperienza lavorativa e
scolastica, a costo di sembrare retorica, ripetitiva, autoreferenziale. la storia fondamentalmente di una ragazzina brava a scuola, e per questo complessata. in un contesto in cui spesso si parla di merito, questo è il mio breve excursus.
scuole medie: ricordi molto confusi, praticamente inesistenti per fortuna; anche uno psicologo di infima levatura inviterebbe a riflettere sul meccanismo della rimozione. prima della classe, sono stata sfottuta, presa per il culo, maltrattata dal primo giorno di scuola all’ultimo, pe ril fatto che studiavo e ero brava. i professori, che dio li strabenedica, gettavano benzina sul fuoco, contrapponendomi e mettendomi contro a tutti gli altri. il risultato è stato che mi sono ammalata, in terza media, di quella malattia che una volta che ti è venuta non passa, rimane latente anche da adulti, che ti mangia dentro prima che fuori; e che mi ha portato a perder quindici chili da novembre amarzo.
ginnasio/liceo: idem come sopra, nonostante che dispensassi a larghe maniche a cani e porci versioni di latino, greco; che suggerissi a tutti alle interrogazioni; che durante le assemblee e davanti ai professori fossi veramente l’unica a alzare il ditino e la voce per difendere non solo me stessa ma l’intera classe. e tutto questo non a discapito della vita sociale, anzi. ma ormai ero marchiata. maturità col massimo dei voti. e mi chiudo la porta del liceo alle spalle, felice di cambiare di nuovo vita e di iniziare un’avventura nuova, quella che avevo fortissimamente voluto, da sempre.
università: mi era stato detto che ai diplomati con 60 veniva praticato, per merito, un consistente “sconto” sulle tasse universitarie. lo sconto è stato di
sessantamila lire. praticamente una fragorosa pernacchia sul grugno con tanto di sputo in faccia. una delle segretarie mi fa “ah, te saresti una di quelle che è passata con 60 eh? pensa che a mio figlio non gliel’hanno dato perchè eravate già in troppi“. come se avessi qualcosa di cui sentirmi in colpa, di cui vergognarmi, da scontare. alcune settimane prima, avevo assistito alla finale di miss italia. centomilioni alla vincitrice, per avere un bel culo, un bel sorriso, delle belle tette. ma sono gli sponsor che pagano, mi dicono: e possibile che nessuno abbia mai voluto sponsorizzare, in sette anni di università il mio cervello? mai una borsa di studio, nonostante una media molto alta. è questo il problema, squisitamente italiano: che è un paese che non investe sul cervello dei propri giovani. università, come quella di tutti, fatta di esami sostenuti a fine luglio con una emperatura di 40°, di scritti superati dal 5% degli studenti, di nottate su nottate a chinare, a disegnare, a ripassare; di lezioni di geometria descrittiva seguite da 300 persone, di cui la metà in piedi. di attese di 3 ore per una revisione. e in tivvù cosa passa il convento? trasmissioni come quella della de filippi, dove dei ragazzi, nostri ex coetanei, sembra che si spacchino la schiena per fare i ballerini, i cantanti, gli attori. perchè loro hanno un sogno; e loro lottano duramente per realizzarlo. ma per vedere giovani che si spaccano la schiena, cari signori, basterebbe entrare in una delle nostre università, dove milioni di ragazzi, lontani dalle luci dei riflettori e dal trambusto mediatico si spaccano il culo in quattro. e magari lavorano dal primo anno di università.
esame di stato: alla seconda non ammissione all’orale mi presento alla correzione del compito. compito intonso, colorato, completo, finito. commissione imbarazzata che non sa cosa inventare. una delle commissarie per tutto il tempo (venti minuti di sano delirio) ha fissato il buco della serratura come se non lo avesse mai visto in tutta la sua vita. pur di non guardarmi nelle palle dell’occhi. alla fine il presidente mi fa “ma lei signorina con quanto si è laureata? ah, pure con la lode? eh, ma allora voi laureati con lode dovete abbassare la cresta eh, e poi lei quanti anni ha? solo ventisei…ma allora ha tutta la vita davanti” e questa è stata la spiegazione. l’unica. la mia cresta...nella mia testa, e chi mi conosce lo sa, ci sono solo tanti complessi. e quelli di inferiorità la fanno da padrone. ho visto mia madre piangere di felicità dopo la mia tesi; e l’ho vista piangere perchè degli stronzi per svariate volte non si erano manco degnati di prendere il mio compito in mano. i miei genitori, che sono sempre stati tanto orgogliosi di me e della mia sorellina, bravissima anche lei…e li vedo e li sento tristi, perchè a tre anni dalla laurea, dopo anni di gavetta, di stipendi più simili a delle elemosine, di lavoro privo del contenuto fondamentale, cioè la dignità, mi vedono ancora priva di una posizione reale, che possa davvero permettermi di vivere, di gridare con orgoglio che sono un’architetto. si, con l’apostrofo perchè sono donna. e che donna. e mi vergogno, mi vergogno perchè ancora non riesco ad essere completamente autonoma, mi vergogno perchè posso permettermi solo di comprare una panda scassata di 14 anni che cade a pezzi, perchè sono tre inverni che porto sempre lo stesso cappotto. ma mi vergogno ancora di più perchè vivo in un paese che premia chi ha delle belletette e non chi ha un bel cervello; che incorona chi si spoglia di più e non chi si impegna di più. ma sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re. e allora ridiamoci su, ridiamoci addosso, a gola aperta…
oh, ma in tutto questo, magra consolazione, molti di noi potranno levarsi qualche sfizio…con sentenza n. 27966 la Cassazione ha qualche giorno fa deliberato che il vaffanculo non è più un’offesa.
detto questo, vi saluto e torno in cantiere, sotto 38°C in mezzo alla polvere, a invidiare i ragazzi miei coetanei che non solo si fanno la casa, ma che si osno fatti anche l’audi A4. e che, contraddizione squisitamente italiana, hanno trovato il modo di intrufolarsi come acquirenti nelle cosiddette case popolari.
diletti figliuoli, vi saluto e vi auguro un buon fine settimana. vi abbraccio
Una risposta a fiato alle trombe