Welcome to Discovery Bay

Non so se a portrmi qui sia stato un buco spazio-temporale o chissa’ cos’altro.

Molto piu’ probabilmente e’ stata la coincidenza astrale di una famiglia che cercava disperatamente un inquilino per l’appartamento che di li’ a poco avrebbe lasciato –proponendolo a un prezzo stracciato- e un disperato (io) che in quei giorni aveva poche ore per trovare un tetto sotto il quale stare, con un’ansia holliwoodinana da disinnesco della bomba all’ultimo secodo.

Mi bastarono tre minuti per far finta di dare un’occhiata in giro e dire: “ok e’ perfetto, lo prendo” (leggi: datemi subito un contratto da firmare e andatevene via che non vedo l’ora di buttarmi su u letto –il MIO letto- e non pensare piu’ a nulla).

Solo quando sono tornato qui mi sono reso conto di cosa e’ Discovry Bay.

Che questo non e’ un posto come gli altri lo vedi subito quando ti avvicini al Pier numero 3, sotto la gigantesca torre IFC 2.

Discovery Bay non e’ il nome di un luogo ma un marchio registrato, un prodotto ben confezionato pronto a essere venduto al migliore offerente.

La terrazza del pier assomiglia al privee di una discoteca della Costa Smeralda. Ti aspetteresti Briatore seduto ad uno di quei tavolini, con la camicia aperta e gli occhiali viola che parla fitto fitto con la ex-letterina di quella volta che ha pescato un tonno da un quintale dal suo elicottero, ma di Briatore nemmeno l’ombra, almeno per ora.

Peccato (si fa per dire…).

Non esistono battelli lenti per Dbay, perche’ noi della “community” sappiamo ben che il tempo e’ denaro. Solo ferries veloci per noi, veloci e e ben climatizzati, con un omino che controlla costantemente i termometri per evitare traumi alla nostra pelle caucasica ben idratata.

La mattina non perdiamo tempo e cominciamo a controllare le e-mail sul nostro Blackberry quando ancora il marinaio con logo bene in evidenza accompagna con la mano la passerella per evitare che una chiusura troppo brusca ci possa togliere la concentrazione. Siamo inglesi, autraliani, canadesi, americani, con tracce di taliani, spagnoli e francesi. Le filippine che si incontrano –manco a dirlo- sono quelle che tengono i nostri bambini, fanno compagnia ai nostri cani, puliscono le nostre case.

Nella nostra community c’e’ anche qualche cinese per la verita’, ma buono.

I cinesi che sono qui parlano la lingua giusta, fanno le cose giuste adorano il Dio giusto.

Non ci sono templi buddisti a Dbay, non si sente puzza di fritto a Dbay, tutto e’ fatto per dare riposo a quelle decine di migliaia di stranieri che vogliono lavorare a Hong Kong immaginando di essere a Brighton.

D’altra parte, la gran parte dei citadini di Hong Kong guardano spesso con sufficienza quello che accade in Cina, considerandosi diversi e permettendo –in fondo- il perpetuarsi di una colonizzazione che non e’ mai finita.

B. ha conosciuto una persona che vive qui da anni che si diceva dispiaciuta di non riuscire a comunicare con la nonna. Non perche’ la nonna avesse qualche problema, ma solo perche’ lui parlava solo inglese e di cantonese non capiva una mazza.

Io ho visto con i miei occhi una mamma che parlava mandarino con i figli e, vedendosi osservata, ha cominciato improvvisamente a parlare in inglese. Come se parlare cantonese –o peggio mandarino- sia una vergogna.

Dopo una giornata di lavoro nei grattacieli di Central, e’ tempo di tornare. Il rito prevede lo slacciarsi la cravatta e l’entrare sul ferry con una pinta di birra. I Blackberry a quest’ora sono di nuovo tutti dentro al fondina.

Un cinese a fianco a me tiene alto il suo bicchiere di birra scura, che lo vedano tutti che lui si e’ convertito.

Tra trenta minuti, non un minuto di piu’, non un minuto di meno, sbarcheremo ancora una volta nella nostra isola fatta di strade pulite con tanto di orchidee, fontane e campi da golf.

Che Dio salvi la regina e chi crede che la civilta’ passi sempre da occidente.

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