Lo Zeitgeist è

Lo Zeitgeist è quello che più mi preme, intento a entrare nel mio tempo. Questo blog ricerca le contraddizioni dell’esistente volendone scovare le segrete connessioni.

E’ un bricolage di sociologia. Valvola di sfogo della contemplazione. Arte povera dell’osservazione. Infatti è gratis, sia per me, che per voi.

Buona lettura.


Istantanea di Lisbona

Lo spirito di Lisbona è obliquo. Fatta di continue salite e discese, si famigliarizza presto con gli spostamenti in diagonale. E’ sfiaccante camminarci, ma la città non è claustrofobica. L’oceano, l’orizzonte è lì, a due passi, che si incontra col fiume. La città confina coll’infinito. Alcuni bar sembrano quelli di Guerre Stellari, in un pianeta sconosciuto, con esseri bizzarri e strani al bancone, fatti in modi diversi. Provenienti da ogni dove, essi concretizzano la globalizzazione di questo avamposto metropolitano dell’impero, una volta centro di un impero tutto suo. Lisbona come New York, come Londra, Milano, Rio. Diversità intrecciate, mischiate. Laboratorio creativo, negozi stravaganti. Chiacchiere di ogni tipo riempiono la vita all’aperto di Bairro Alto di politica, cori di italiani in vacanza, cocktail. Una città bohemien, che ha fatto della strada il salotto in pendenza di un’aspirante classe creativa. Gli unici posti liberi che è possibile trovare sul marciapiede sono quelli segnati da chiazze di non si sa quale liquido. Il resto è tutto una fila di americane, capoverdiani, francesi in infradito. Sbracati, stesi, legittimamente informali. Residenti, qui? Lisbona è un passaggio obbligato, corridoio tra mondi diversi, a cui non ha mai voltato le spalle. Essa non è Caput Mundi, come Roma. Più come Brindisi, è fatta per essere passata. Oltre il mare, c’è l’altra metà del mondo.


Bello, utile, tempo

C’è nell’utile un’ idea del futuro assente nel bello. L’utile sta al futuro come il bello sta al presente. Il primo sottende il rinvio del piacere, il secondo l’estasi.

Quello di “utile” è un concetto figlio della modernità. Nella produzione seriale della fabbrica fordista ha avuto il suo successo storico. Persino il corpo doveva essere UTILE al lavoro, alla produzione, VALIDO alla guerra. Le braccia evocavano il lavoro manuale, che stringessero una falce, un fucile o una leva meccanica.

Nella postmodernità, invece, gli oggetti diventano utili tanto più quanto servono all’appagamento sensibile. Dalle località turistiche al corpo umano tutto si trasforma in favore dell’appagamento estetico: utile e bello si fondono. Ci si riappropria dell’ornamento, come diritto sacrosanto al godimento sensibile.

Avere un corpo nn è più un’ inevitabile cirocostanza della natura umana, ma è avere un oggetto di cui si ha piena coscienza, controllabile, monitorabile, ornabile attraverso le pratiche del piercing o del tatuaggio. La coscienza del corpo si affianca alla coscienza della nostra individualità, diviene sede di un progetto, luogo di un’espressione, opera d’arte. Le uniche leve da spostare non sono più nelle fabbriche, ma nelle sale di fitness. E poi basta guardarsi attorno: se un tempo il corpo “serviva”, adesso “evoca”. Se prima si “usava” ora si “esibisce”.

Motivi floreali e luccichii dappertutto, nelle auto, nelle sedie e nelle birrerie. L’intimità e la vita pubblica si fondono nei reality show, nelle riviste mondane, nella politica che diventa spettacolo, fatta di logo ammiccanti e jingle pubblicitari, di variopinti logo politici. Il volgare si sdogana nei video-clip, livellando il comportamento di ricchi e poveri. Sono questi ultimi, presenti e precari ovunque, sono loro a configurare il carattere rischioso, istintivo e nomade dell’uomo del nostro tempo.


Ornamento

L’ornamento viene alla ribalta in tutta la sua potenza, misteriosa e non quantificabile logicamente o economicamente. Esso fluisce dalle nostre case, passa come edera sulla nostra pelle, attraverso i nostri indumenti, riflessa negli schermi televisivi, nei siti internet, sfavillanti e omni-pacchiani. Il nostro mondo è un teatro conformato secondo Las Vegas. I tatuatori sbancano, Adolf Loos sbianca, insieme a tutti coloro che assolutizzavano il concetto di utile.

Evidentemente la soglia d’uso dell’oggetto è arretrata nel campo della contemplazione. Probabilmente perchè si sono persi di vista fini più distanti. Lungi dall’essere un delitto, l’ornamento, forse, è un’indice prezioso. Da esso è possibile risalire all’attribuzione che un’epoca conferisce al proprio tempo. All”orizzonte fino a cui è capace di vedere.

Tempo

L’attimo é la cosa più colta che si può trovare in giro. Il presente il primo tempo che si impara. Eraclito, fosse nato adesso, lo avrebbero messo a fare il testimonial di un’agenzia immobiliare a recitare il suo motto con l’indice puntato, tipo Zio Sam.



Etica ed estetica

Etica ed estetica sono parametri di giudizio di qualunque cosa facciamo. Ogni gesto (ogni comportamento) ha una quantità dell’una e una quantità dell’altra. Ha effetti su di noi? Estetica. Ha effetti sugli altri? Etica. Qualsisi attributo di un’azione si dibatte intorno a questi entrambi legittimi aspetti come in un pendolo eterno.

Senza estetica non esisterebbe l’arte per esempio. Ma non esisterebbe neanche il consumo. La stessa nostra società dei consumi, mette l’accento sulla nostra propensione a godere delle cose e di ricavarne effetto suppostamente benefico. E’ il fondamento della pubblicità e, quindi, dell’economia. Sotto ogni finanziaria c’è questo principio che regge tutto. Ogni ferreo razionalista allergico all’edonismo ammetta il suo lato estetico. Quando rimette per venti volte la stessa traccia musicale. Quando sceglie una carta da parati. Quando non capisce perchè palpita il cuore di fronte a elementi neutri riuniti insieme a configurare la bellezza. Perfino quando dice del candidato che voterà: porca miseria oh, con ‘sta faccia che ha proprio non vinceremo mai! Così la magia della bellezza, l’illusione, l’ebbrezza, lo scherzo, si portano via tutt’una volta la ragion pura.

Quando scoprono tutte le loro debolezze, mollezze, commozioni possibili, gli uomini si scoprono estetici. E il consumo ha spostato definitivamente il pendolo dalla parte dell’estetica. Altro che vivere una vita come un’opera d’arte, qua tutti sono piccoli Oscar Wilde, ormai. I nervi sono sempre a fior di pelle e tutti vogliono viaggiare in prima, come dice il Liga, facendo nervosamente vibrare il motore sotto i piedi.

E’ l’etica, il vero problema del nostro tempo. Non un problema scomodo, ma aperto e interessante, perchè invita a discussioni interessanti. Etica e consumo, non vanno proprio d’accordo, raggiungono talvolta un compromesso, ma leggero, vano. E il secondo vince sempre. Sono come quel simbolo col nero e bianco che si compenetrano, quello che poi ha una pallina bianca nel nero e una nel bianco? O è lo stesso concetto di etica che scomparirà si trasformerà? E’ dav
vero l’emozione l’unica moneta del nostro tempo, come dice Maffesoli (Elogio della ragione sensibile)? Se l’etica è preoccupazione per il prossimo, implicazione nel destino dell’altro, è forse l’estetica la sua finalità? Domande per ora senza risposta. E’ notte, fuori piove. E’ Ottobre.

Televisione

Nella Televisione ogni narrazione è giocata sul memento, non esistono tempi morti, non ci sono sprechi, ma ogni cosa è tagliata, montata, selezionata, velata da colonna sonora.

E’ come se per ogni spot preparassero un esame di progettazione.

Perfino i servizi di Santoro ricorrono al trucco, all’illusione , attraverso il montaggio la musica, la drammaticità. Il maquillage del realismo è qualcosa da indagare a partire da Courbet.

Ogni micronarrazione è appositamente filtrata, studiata, univoca. Prodotto di estenuante lavoro d’estetizzazione. Al punto da farci chiedere: è più importante il messaggio o la forma che esso ha?

La TV. Vecchia amica e nemica. Il suo scopo è essere figa e ammiccante. Seducente come un sorriso atletico. Spericolata come la vita di Steve McQueen. Nel migliore dei casi ci riesce. Nel peggiore copia se stessa, vestendosi sempre uguale.

La televisione ha consacrato il momento, l’episodio, il fugace. Gli spot istruiscono il popolo come i grandi affreschi di un tempo. Sdogananano atteggiamenti, dicono “puoi fare così da domattina, puoi usare questa parola, metterti questa maglietta, liberare questa parte di te”. I suo personaggi diventano stelle fisse delle nostre costellazioni mentali e sociali.


Nomade

Il nomade ha un rapporto intimo-sopravvivente con il suo ambiente. Il suo senso di mobilità non è sociale, ma semplicemente spaziale. Non usa simboli del consumo per farsi riconoscere e assurgere ad un’ identità. I meccanismi di riconoscimento della sua realtà sono da ricercare nelle dinamiche interne della sua communitas mobile. Al di là di quella vi è la sola relazione istintiva di consumo frenetico e animalesco, dell’ambiente circostante.


Estetica II

L’uomo occidentale è immerso in un’estetica dell’oggetto che definisce la sua identità. Le sue sono regole così forti che è impossibile sottrarvisi. Gli oggetti posseduti ed esibiti sono parole d’un vocabolario comune, attraverso il quale si dimostra di appartenere ad una comunità (o a più comunità) e allo stesso tempo si cerca la differenziazione adatta a ribadire la propria identità (o le proprie identità).

Dal vestiario all’automobile, alla casa: ciò che è sottoposto all’attenzione dei sensi, comunica. Anche chi si rifiuta, adotta l’immagine di quello che si rifiuta. Cosa interessante, il vocabolario sensibile è inevadibile, inevitabile.

La sensualità dell’uomo occidentale è proprio in questo suo vocabolario estetico, ossia non articolabile con parole, nè con discorsi, nè trattati. Le parole possono solo rincorrere l’immagine, o il gesto-evento, come tanti nani che si affannano a rincorrere un gigante.

La nostra cultura è fortemente estetizzante e irrazionale, poichè condensa negli oggetti, nell’immagine e negli eventi alte densità di significato.


Oggetti e consumo

La caratteristica principale del consumismo è il nostro rapporto con gli oggetti e con le esperienze.

Gli oggetti non hanno più relazione cn le consuetudini quotidiane. Nuove consuetudini ora, Non più i campi, ma tastiere, telefonini. Non più piazze, ma reti. Nuovi gesti, nuove azioni integrate in un nuovo stato naturale delle cose allestito dalla tecnologia.

Il cibo, la musica, la danza, la moda, vengono da chissà dove. Il rapporto che abbiamo con loro è prima di attrazione, poi di consumo e quindi di passeggera sensazione di sazietà emotiva,

In compenso abbiamo una varietà dell’offerta qualitativa di queste esperienze, superiore alla norma, limitata dalla capienza del nostro portafogli, ma, d’altro canto, sempre più low-cost. Forse proprio il low cost dell’accesso al consumo di esperienze è il fine del nuovo senso etico? Se avete risposte scrivetemi pure. Sembra che la democratizzazione del globo è prima di tutto un democratizzazione del consumo.

Qualcosa di positivo al consumo sopravvive, solo se si è in grado di stabilire delle connessioni tra queste esperienze, se si è in grado di metterne insieme i pezzi, facendone dei ragionamenti.

Insieme all’offerta di sensazioni, si è allargato tremendamente il materiale su cui poter ragionare.


Fabrizio

Di questo blog nn ne sa niente nessuno. Sono pensieri avviati alla fluenza nelle correnti del WEB. Qualcuno ogni tanto, magari per errore, ne vede qualcuno passare.. Fu Fabrizio Mirabella, circa due anni fa, a dirmi come dovevo fare per avviare PesciPensieri, con chi dovevo parlare. Ricordo solo la sua disponibilità, la sua professionalità. Ma dal suo blog emergeva anche un mondo interiore fatto di suggestioni profonde, di simbolismi, esotismo. Internet, notturna per eccellenza, è il fiume Nilo dove scrosciano gli inconsci, gli aspetti della realtà che non ci aspetteremmo, la parte d’ombra dello scenario barocco in cui siamo immersi.

Fabrizio nei suoi post parlava di buone stelle sotto cui incontrarsi, un giorno. Non ci siamo più riusciti, ma fa niente: adesso lui è lì in mezzo a quelle stesse stelle.

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