BIG MATCH (Parte SECONDA)

BIG MATCH (Parte SECONDA)

Prologo: Siza Bono
E chi non conosce Álvaro Siza Veira? Chi non fa parte del nostro campo, ad esempio. O chi, per un motivo o per un altro, si trova in Portogallo a vivere per un po’ di tempo. Siza è un mistero soprattutto per chi vive in Italia e non frequenta architetti. Perciò è capitato che un nostro amico, in macchina, una sera che eravamo usciti a “fare baldorie”, come direbbe mia madre, è venuto a conoscenza dell’uomo di Matosinhos e di cosa io avevo fatto vedere a lui e di cosa lui aveva poi detto a me e che cosa lui mi aveva fatto vedere prima di darmi i consigli finali. Stavo facendo una specie di rapporto al mio amico di merende che era al posto guida. Ad un certo punto nella discussione è entrato anche l’altro, che già altre volte ci aveva sentito parlare del Buon Maestro. Si era incuriosito perché io cominciavo ad eccitarmi sempre di più man mano che andavo avanti con il racconto e allora il mio amico al comando è intervenuto per spiegare:
“Vedi Sergio, andare a parlare con Siza, in architettura, è come se, nel campo della musica, uno andasse a parlare con Bono, capisci?!” spiegò tutto eccitato.

“Ma non venga solo per questo!”.
“No, no, non si preoccupi: è che io ogni tre mesi ritorno sempre a Porto e quindi non c’è problema,…GRAZIE!” e la cornetta, dall’altro capo, fu riattaccata.
Ci fu un momento in cui pensai al fallimento. Sorse una difficoltà che mi ero illuso di poter risolvere facilmente ed invece ci volle qualche altro litro di sudore per dare delle spiegazioni convincenti sul perché io volevo quella revisione proprio da lui. “Si ma perché proprio io?” Eh, bella domanda che mi fai, caro Siza. Me l’aspettavo, ma averla sentita dalla sua stessa voce, così: diretta, al telefono, fece il suo certo effetto. Vacillai per un attimo, per un secondo mi sentii come Mosè nel deserto: “Signore! Signore,…ma sarà vero che ci farai vedere sta terra promessa?”. Allora tirai fuori la storia che io sapevo che lui era stato chiamato a fare un lavoro in congiunto con Gehry; poi ho giocato la carta delle “conoscenze”: lui conosceva il sito più di chiunque altro e io dovevo fare un progetto che in qualche modo si relazionasse anche con la “sua” Facoltà di Architettura. Insomma: io non credevo molto a quello che gli stavo dicendo però visto che sfornavo una storia dopo l’altra, Siza si convinse che non era una cosa campata in aria e cioè che, probabilmente, non ero un tipo da lanciarmi nell’avventura suicida che era quella di far perdere tempo a me e a lui.
Volle comunque sincerarsi ulteriormente: “Ma non venga solo per questo!”. E io: “No, no, non si preoccupi: è che io ogni tre mesi ritorno sempre a Porto e quindi non c’è problema,…GRAZIE!” e la cornetta, dall’altro capo, fu riattaccata.

Ad Agosto, invece di godermi le spiagge di Matosinhos, feci alcune telefonate da un telefono pubblico. La segretaria, che era tornata dalle ferie, continuava sempre a rinviare la cosa. Un giorno mi disse che Siza non c’era e che sarebbe tornato la settimana dopo. Era a pelo con il mio volo di ritorno…a quel punto insistetti e riuscii a strappargli un’ora e un giorno. Sarebbe stato il mio giorno. E avevo mentito a Siza: ero venuto solo per quello.

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