erano altri tempi

Ancora oggi, da alcuni tratti inconfondibili è possibile identificare gli eroi del costruito italiano nel mezzo della folla vociante. Il biglietto da visita glielo si legge in faccia: sono tutti amareggiatissimi, anche se hanno superato le forche caudine dell’Esame di Stato. Hanno un aspetto giovanile. Un portatile. Sono sottopagati (quando si lavora) e nelle loro case non manca mai «la Repubblica» o «il “Fatto” Quotidiano».
Perché i due giornali? Beh, non poteva essere altrimenti.
Tutti devono tirare a campare, ne hanno il diritto. Gli architetti iataliani, gli «a.i.», tengono famiglia come gli altri esseri umani, assieme a bollette, mutui. Pagano affitti. Vanno dal dentista almeno due volte all’anno, giusto per la detartarizzazione. Più semplicemente, hanno bisogno di mangiare per lo meno una volta al giorno. Non stupisce, quindi, che abbiano deciso di riporre tutte le loro speranze nella Forza più influente che esista in Italia.

È un buon partito, questa Forza. Tra banche, giornali, tv (non tutte private) e le meglio poltrone di Camera e Senato (oltre a tutto il resto) vanta una discreta copertura di Potere su tutto il territorio nazionale. Ha la fortuna di aver suscitato le simpatie di grandi finanziatori (non tutti occulti) ai quali rivolge una servizievole magnanimità nel giorno in cui si debbono punire i peccati più gravi.
Di quelli che non vengono mai perdonati agli altri, tanto per intenderci.
I dubbi arrivano quando si tratta di risolvere le «Grandi Questioni del Paese», quelle che di riflesso colpisco anche gli a.i. in quanto cittadini “comuni”. Ad esempio. Invece di creare Nuova Economia, la Forza propone di risolvere il problema del soldo puntando alla distruzione di Berlusconi, all’aumento delle tasse e alla cancellazione delle parole «Mamma» e «Papà» dal vocabolario italiano.
La cosa imbarazza un po’, se si pensa a quanto gli a.i abbiano punatato su questo cavallo.
La giocata è avvenuta nella solitudine della cabina elettorale, quando  all’architetto viene chiesto di fare la spunta sul simbolo buono e giusto. Roba inutile. La Forza non poteva mica attendere l’incerto esito delle elezioni democratiche. Già da tempo si è dotata di spalle larghissime grazie al sostegno di amici parziali, cioè amici senza la “im” d’avanti, a capo di tutti i ruoli chiave esistenti, possibili, immaginabili  e inimmaginabili. E chi non condivide la Forza «o è stupido o è un delinquente», dicono dalla regia. Con gli a.i. giù ad applaudire.
Di contro, chi decide di prendere in affitto la capacità di raziocinio, lasciando che siano gli altri a pensare per lui o per loro, perde l’unica caratteristica che separa certi esseri senzienti dalle bestie.
Ma ormai la Forza ne ha fatto proprio una questione di razza. E con lei ci si è compromessi troppo. Non si può mica ammettere che FORSE, in un lontano passato, sarebbe stata buona cosa stare a sentire un po’ tutti facendo una sintesi delle idee migliori. E facendola con il solo ausilio della propria testolina!
Sarebbe stata l’opzione più ragionevole. Ma allora si optò per altro. Per far parte di un cliché. Un progetto a lunga scadenza, come la Fabbrica di San Pietro. Oggi rinnegare questa scelta, che ha prodotto una quantità di vantaggi di molto inferiore allo zero, sarebbe come rinnegare un qualcosa in più di sé stessi.

Dal mansuetissimo Portogallo, dove le Forze sono un po’ tutte sullo stesso livello, si segnalano invece architetti di un antico italico stampo.
Come erano gli architetti italiani una volta?
Una volta li riconoscevi dalla giacca con le toppe. Erano alti, ma afflitti da una leggera gobbetta. Calvi e privi anche del diritto al riporto. Ed occhiali alla Le Corbusier, ovviamente. Erano gli architetti italiani, faticatori stanchi, mastri del rapidograph e consumatori di eliocopie. Impiegavano immenso tempo a consegnare i progetti. Lo stesso di oggi. Erano tristi, mentre al cinema venivano dipinti come dei bellocci rampanti e pieni di successo. Oppure come dei dannati che poco prima dei titoli di coda riuscivano a sovvertire situazioni impossibili. E se c’era tempo, si rubavano pure la donna dell’antagonista.
I colleghi portoghesi dei nostri giorni sono un po’ come loro. Sregolati, pagatori di stipendi inadeguatussimi, vittime di stipendi inadeguatissimi, vivono comunque la loro professione con la disperazione e la tenacia dei nostri vecchi eliocopiatori. Sarà l’ambiente o l’aria che tira dall’Oceano. Può essere. Ma in un tempo in cui le DeLorean le fabbriccano solo per il cinema, e magari pochi minuti prima della partenza per il Brasile, il Quatar o la Cina (le nuove “mecche”), è proficuo pensare a tutta questa silenziosa forza di sopravvivenza architettonica portoghese. Con in allegato le eccezioni del caso, ovviamente, che ci parlano di grandi studi capaci di accaparrarsi grandi e succosissimi appalti.
Sono le famose «rarità».

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