Un ricordo e un’attualità

Qualche anno fa ero ospite di una locanda, sopra uno dei caffè più caratteristici di Porto. La finestra, offuscata, dava sulle lavanderie “della casa” e lasciava circolare per la stanza un aroma intenso di bucato pulito. Un giorno, colto da un’insolita pigrizia da seconda serata, con il computer sistemato sopra il comò mi misi a spulciare YouTube e la pagina ufficiale della Rai, alla ricerca di un po’ di intrattenimento. Il Caso optò per Marco Paolini. Sarebbe stato lui, drammaturgo bellunese classe 1956, l’umo incaricato di smorzare quella che io credevo essere solo una breve e sfortunata solitudine. In fondo, volevo solo trasformarla in una proficua solitudine.

VAJONT 9 ottobre 1963, in onda su Rai Due la notte del 9 ottobre 1997, è stata una sconvolgente scoperta di “teatro civile”. Generalmente evito il teatro, in toto. Ma il tempo trascorso ad ascoltare Marco non ha avuto solo il merito di farmi riscoprire una delle nostre “tragedie all’italiana”, purtroppo numerose. Ho visto quello spettacolo quasi in apnea e alla fine, oltre alla commozione e allo sconcerto, ha trovato posto anche un lungo sospiro di sollievo. Oggi ho capito il perché, di quel sollievo.

Si trattò di una rarità. Per la prima volta, o forse no, una sciagura nazionale non era il pretesto per attaccare la Destra, o la Sinistra, o un non ben definito “Mondo della Politica Italiana”. C’era un’azienda sotto i riflettori, è vero. C’era una politica o una parte di essa dalla quale si esigevano spiegazioni credibili…ed umane. In causa venivano chiamati anche alcuni esperti della scienza, assieme ai loro incomprensibili errori. Ma io vi dico che qualcosa di insolito aleggiava nell’aria, quella sera, nel «teatro della diga del Vajont». Oggi, quello spirito che ho creduto di percepire tra le quattro pareti di una pensioncina portuense, mi fa venire in mente gli auguri di Natale che i parrocchiani si scambiano dopo la messa di mezzanotte. Storicamente abbiamo sempre avuto la necessità di trovare una collocazione all’interno di una fazione, in opposizione ad un’altra. Invano Guareschi ha tentato di farci vivere queste cose in un modo diverso. Ma noi, italici, siamo ottusi dentro. Ad essere affetto non è il comprendonio, ma il più sensibile dei nostri muscoli.

In tutto questo, per riscoprire la montagna e le sue architetture contemporanee, invito tutti i viaggiatori architettonici, sperduti tra le nordiche terre luse, a fare una breve tappa a Boticas.

Che cos’è Boticas? È un paesino della provincia di Villa Real, ad un tiro di schioppo da Chaves. Città, quest’ultima, che ha dato i natali all’architetto e pittore Nadir Afonso.

Nella pagina ufficiale della fondazione a lui dedicata, ci informano che la sede, progettata da Álvaro Szia Vieira, verrà inaugurata a luglio. Del 2014.

Nell’attesa del passato, Boticas ha già aperto le porte del “suo” Centro de Artes Nadir Afonso. Per delle ragioni che devo ancora investigare, l’architetta americana Louise Braverman, dello studio Louise Braverman Architect di New York, ha voluto lasciare il segno nella casa di 5000 anime portoghesi. È l’invidiabile bellezza della professione. Incontenibilmente globalizzata.

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