la luna nera…

Bene, arrivo al punto senza preamboli. Stamattina non si parla dell’UK. Stamattina sono incazzata. Con l’Italia. Per una serie di ragioni che accumulatesi nel corso degli ultimi giorni hanno tracimato in questa splendida giornata accarezzata dalla brina.
Si dà il caso che alcuni giorni fa mi sia arrivato per posta il giornaletto di Inarcassa. Dopo aver fatto le fusa ed essermi compiaciuta di fronte a quel bel “Dott. Arch.” posto davanti al mio nome, ho scaraventato il giornaletto sul divano, in compagnia di vestiti, scatole, fogli eccetera. Ieri mattina, presa da una uterina necessità di ordine, apro sto giornaletto. Io spero di non aver capito, e vi sarei grata se mi riportaste sulla retta via, contribuendo ad alleviare la gastrite che è conseguita alla lettura. Parlo delle statistiche di Inarcassa. Parlo del fatto che in una di queste belle tabelline patinate e gradevoli all’occhio viene fuori un ritratto, molto meno gradevole, della condizione diciamo contributiva. E fin qui niente di nuovo. Mi sono anche resa conto con un certo sollievo che il mio fatturato annuo è perfettamente in linea con gli altri colleghi bambocc…scusate, architetti e ingegneri coetanei. Quello che mi ha mandato in bestia è la tabellina della pagina a fianco, che riguarda il fatturato annuo medio di architetti e architettesse (e ingegneri e ingegneresse). Dal 2000 al 2005, le architettesse fatturavano la metà esatta dei loro colleghi maschi. La metà esatta, lo ripeto per chi avesse avuto un leggero capogiro. E anche le ingegneresse. Io lo ripeto, vi sarei grata se qualcuno mi dicesse “Eleonora, guarda che non ci hai capito una mazza“. Stiamo parlando dell’ultimo lustro, dei primi 5 anni del ventunesimo secolo. E’ universalmente noto che effettivamente le donne capiscono meno, che senz’altro preferiscono stare a casa a stirare camicie, a passare la vaporella sui pavimenti e pulire il culo ai figli. Deve essere questo il motivo per cui nel commento alle tabelline non se ne fa parola assolutamente…perchè capite, è un dato perfettamente assodato. E’ perfettamente normale. Del resto le architettesse sono quei puttanoni che vanno in cantiere con i tacchi a spillo; sono quelle che piantano le scene isteriche se le piastrelle per la cucina che hanno progettato sono disponibili solo con il disegnino delle pere e non con i melograni; e se hanno l’ardire di arrampicarsi su un ponteggio hanno senz’altro troppi ormoni maschili e assai probabilmente sono lesbicone. Lo so che non dico niente di nuovo, lo so bene…ho la fortuna di avere una madre che ha sempre lottato con le unghie e con i denti per affermarsi non solo come mamma e moglie, e che mi ha trasmesso il senso dell’indipendenza, dell’autonomia, il diritto di esigere rispetto come persona e come professionista prima di tutto. Per quale motivo se telefona qualcuno allo studio e rispondo io, dall’altro capo del filo si pensa che io sia la segretaria dell’architetto? E per quale motivo se risponde il mio collega perito, pensano di parlare con il collega dell’architetto? E per ora mi fermo qui.
Altra questione. Stamattina sono andata ad informarmi per la chiusura della partita iva. E di striscio ho toccato anche gli studi di settore. La premessa è che, non avendo mai avuto nulla da nascondere, ho dichiarato la verità, senza lacchezzi, giochini vari eccetera. Non congrua per una cifra spaventosa, ma era prevedibile. Questa mattina l’impiegato con cui ho parlato mi ha fatto riflettere su una cosa. Al di là del fatto che rideva in faccia, e che ha avuto il coraggio di dirmi “siamo sulla stessa barca” (lui e il suo cappottino di armani di questocazzo)….mi ha aperto gli occhi: se io giovani architetti implumi sono massacrati, dilaniati dagli studi di settore…è colpa al solito dei vecchi tromboni, che negli anni precedenti hanno evaso l’evadibile e l’inevadibile. E a pagare il prezzo, come al solito, indovinate chi è. E immaginate con quali balzi di gioia scomposta accoglierei la notizia di dover pagare (anzi….come diceva il tipo, veder “recuperate”…) le mie tasse “virtualmente evase” per colpa dei tromboni di cui sopra, che per quella data si staranno godendo la pensione che generosamente contribuiamo ad elargire loro. E che chissà se noi avremo.
Ecco il paese che lascio…Non sono malata di esterofilia. Sono malata di disgusto.
E per oggi è tutto. Nei prossimi giorni parleremo di Londra, del cambio del nome del blog e delle novità.

ps. grazie a rosy e fili per la bellissima serata che mi ha fatto riscoprire la serenità e il calore di una cena tra amici; che mi ha riconciliato per qualche ora con la mia terra, e pure con preti!

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