la scozia vista da me

affetta da una forma grave di sindrome costa crociere, l’architettessa ha fatto ritorno in quel di loveridge road. il rientro in ufficio è stato uno dei più traumatici che ricordi. mentre cercavo di ricordarmi, nell’ordine: i nomi dei mie colleghi, quale fosse la mia scrivania e come si accendesse il computer, la domanda ricorrente che serpeggiava tra le mie meningi era “perchè sono qui? che posto è questo? e che fine hanno fatto le pecore?“. ho vissuto il viaggio in scozia con la consapevolezza, forse prima ancora di partire, che questo viaggio mi avrebbe lasciato tanto tantissimo, e che forse sarebbe stato anche difficile spiegare le emozioni che avremmo provato. al contempo ho cercato, nei giorni prima della partenza, di non pensare troppo a come me la sarei aspettata, e tenere la testa sgombra come una videocassetta vergine per imprimere meglio ricordi e sensazioni. partire da londra in un sabato mattina piovoso, atterrare e vedere edimburgo, e piano piano raggiungere il nord, lasciandosi alle spalle città, negozi, macchine, a volte anche esseri umani è stata davvero un’esperienza emozionante, di quelle che, scusate l’espressione abusata, ci ricorderemo per tutta la vita.

gli alberi che si fanno piano piano più timidi e incerti, le giornate che si allungano fino ad avere il sole alle dieci passate, le pecore che, nel mare delle brughiere, si confondono con i sassi e i sassi con le pecore, il mare che diventa lago e il lago che diventa mare ma che sempre loch si chiama.

e gli scozzesi, che battono moneta propria, che parlano un inglese dall’accento quasi russo, che sorridono e salutano, orgogliosi di essere scozzesi ma dal profondo, senza ostentazioni folcloristiche o peggio ancora commerciali.

londra è lontanissima; lo è nei miei pensieri ma soprattutto nella percezione di chi vive qui. pochissime bandiere del regno unito, la regina forse manco sanno come si chiama. per chi abita nelle highlands il mondo inizia e finisce a inverness. a ricordare che siamo in UK, l’ubiqua presenza delle cabine telefoniche rosse, emblema tangibile e incontrovertibile dell’efficienza del regno.

di seguito, alcuni pensieri sciolti, pennellate a caldo, nell’attesa di riordinare le foto e i pensieri….quello che è filtrato dal colino a grana grossa, a un giorno dal rientro.

– l’emozione, già accennata, di guidare verso nord, riempiendosi gli occhi di montagne che precipitano a picco sul mare, di deserti sterminati di brughiera (quella brughiera che da piccola, leggendo i libri di conan doyle e soprattutto di herriot, facevo fatica a comprendere e immaginare), di scogliere aspre da colori rossastri che si aprono all’improvviso su spiagge bianchissime

– i colori incredibili e cangianti dal rosa, al salmone, al porpora delle abbazie allo stato di rudere degli scottish borders a sud di edimburgo, un nome per tutti melrose abbey

– il salmone affumicato più buono della storia, comprato in riva al mare in casa di una signora, e mangiato con le mani in macchina vicino ad applecross, sulla costa north west, aspettando che spiovesse…col cuore leggero perchè avevamo trovato il primo distributore dopo centinaia (e vabbè, licenza poetica) di chilometri

l’alba limpidissima che abbiamo visto dalla nostra “camera con vista” sulla scogliera di birsay, alle orcadi, mentre il vento spolverava qualsiasi cosa gli si parasse di fronte

– l’arcobaleno più incredibile che abbia mai visto in tutta la mia vita, dopo che un acquazzone aveva spazzato via la foschia e reso vividi i colori

– il tramonto su tantallon castle, poco lontano da edinburgh, a picco sul mare

– i giorni di sole splendido che il padreterno o chi per lui ha voluto regalarci

– la commovente italian chapel alle orcadi, costruita e affrescata dai prigionieri italiani durante la seconda guerra mondiale, deportati quassù dopo essere stati catturati dagli inglesi in africa. commovente, attenzione, non perchè sono italiana o particolarmente religiosa (chi mi conosce lo sa)…ma perchè realizzata adattando una baracca militare, di cui all’esterno è ancora visibile la struttura; perchè iniziata da un gruppo di prigionieri che hanno sentito il bisogno di esprimersi, incoraggiati dai “carcerieri” che anzi, gli hanno mandato “rinforzi” da un campo di prigionia vicino…il che la dice lunga, o almeno è questa la mia illusione, sul trattamento che gli scozzesi hanno riservato agli italiani. l’autore principale, la mente, dell’opera, è stato addirittura rintracciato via radio per vie fortuite negli anni 60 dalla popolazione e invitato a restaurare gli affreschi che si stavano deteriorando; invito che ha accettato di buon grado. mi attardo su questa storia perchè mi ha sinceramente emozionato, mi è sembrata una piccola oasi di umanità nella disumanità della guerra. e perchè mi ha ricordato molto “Mediterraneo”, quando il tenente – claudio bigagli affresca la chiesetta dell’isola dove la guerra li ha sbattuti.

– l’incredibile rosslyn chapel, così diversa da qualsiasi chiesa che avessimo mai visto, un vero e proprio scrigno al cui interno è stato scolpito in modo assolutamente anticonvenzionale e soprendente ogni millimetro quadrato. la stessa del codice da vinci, sì, ma lo abbiamo scoperto andandoci e comunque per quanto ci ricordavamo dal film, completamente diversa. e difatti, come ha spiegato in un ottimo scozzese il signore distinto che ci faceva da guida…hollywood ha delle ragioni che la storia dell’architettura non conosce: detto altrimenti, per il film hanno ricostruito completamente e a loro modo gli interni della cripta!

– la felicita’, e permettetemi la nota squisitamente privata, di vivere tutto questo con la tenera metà, di passare insieme nove giorni (mai successo da quando le nostre strade si sono incrociate) e nove notti, scambiandosi impressioni su quello che stavamo vivendo e mescolandoli ai ricordi comuni e a progetti per il futuro.

…bene, basta così, per stasera da loveridge road e’ tutto.

tornate a lavoro svelti svelti come coniglietti, che appena posso faccio una cernita delle 700 foto (giuro che non scherzo) e ve n
e fo vedere qualcuna.

sciaoooooooooooooo!!!!

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