Architettesse in Giordania

Questa l’idea: partire da Heathrow alla volta di Amman, ignorare Amman, prendere una macchina a noleggio, spendere qualche giorno nel nord del paese e poi scendere giù, verso Petra, spingersi ancora più a sud verso il Wadi Rum e tornare, con il cuore colmo di gioia, ad Amman, ignorarla di nuovo e riprendere il volo. Da venerdì alla domenica successiva.

Prima della partenza ho pensato che ci sarebbe capitato di tutto, dallo smarrimento dei biglietti al furto dei documenti, passando per la nuvola di cenere vulcanica gentilmente offerta dall’Islanda allo spettro dello sciopero del personale a terra. Ho capito che il momento più difficile della realizzazione di un sogno sono gli attimi che immediatamente la precedono. Delle tre ore di attesa a Heathrow ricordo tutto: dal succo di carota alla trasmissione che trasmettevano in tv.

Dopo cinque ore di volo e la giornata accorciata, ci siamo ritrovati all’aeroporto di Amman. Rincoglioniti, stanchi non si sa di che. Lasciamo euforici che militari dagli occhi neri e dal sapor mediorientale ci rivoltino i passaporti come un calzino e sorridiamo mentre con la webcam ci fanno la foto per il database. Dopo un’ora scarsa siamo a pucciare la pita nell’humous, che nei giorni a venire sarebbe diventato croce e delizia delle mie viscere. Mangiare humous a colazione, pranzo e cena è il sogno proibito di chi l’humous lo ha assaggiato almeno una volta – farlo per dieci giorni consecutivi è privilegio di chi ha nello stomaco un inceneritore. Non è il mio caso. Ma è il caso del Principe Inconsorte, naturalmente, che ha candidamente fagocitato houmous tre volte al giorno, tutti i giorni.

Abbiamo speso i primi tre giorni attorno a Madaba (dove cada l’accento è tuttora cosa sconosciuta). Storica città di mercato, fu un centro di importanza considerevole per l’arte dei mosaici nel periodo bizantino. Fiore all’occhiello della città è la Chiesa della Mappa: sul pavimento della chiesa giace un mosaico di dimensioni ragguardevoli (in origine si stima fosse 16mx6m) raffigurante quello che oggi definiamo il Medio Oriente: dal Libano al delta del Nilo e dalla costa mediterranea al profondo deserto.

Da Madaba il primo giorno ci siamo spinti verso il luogo del Battesimo di Cristo

(Il Luogo del Battesimo)

piuttosto suggestivo, anche per me che non sono credente: nel bene o nel male la cultura occidentale è intrisa di cristianesimo e vedere live un luogo di cui tanti hanno parlato, o dipinto, o scritto è stata un’esperienza decisamente intensa. Discorso analogo per il Monte Nebo, da cui si narra che Dio indicò a Mosè la “terra di latte e miele”.

(Il deserto attorno al Monte Nebo)

ll giorno successivo lo abbiamo trascorso nel deserto ad est di Amman, percorrendo l’autostrada che dalla capitale giordana conduce sostanzialmente all’Iraq, e ammetto che vedere cartelli che indicavano Saudi Arabia, Syria o Iraq fa decisamente effetto.

Le attrattive principali di quest’area sono costituite da una serie di “castelli“; d’obbligo le virgolette, dato che di questi solo la metà sono castelli in senso proprio, mentre più generalmente si tratta di caravanserragli, palazzi, “casini di caccia”, in un caso anche di terme.

(Qasr Harraneh – in realta’ giravoce fosse un caravanserraglio)

(Qasyr Amra – ovverole terme in mezzo al deserto)

(Il Castello di Qasr Azraq, quartier generale di Lawrence d’Arabia)

La discesa verso Petra percorrendo la King’s Highway ci ha riservato sorprese affascinanti e improvvise, prima tra tutte il Wadi Mujib: pochi spettacoli naturali mi hanno tolto il fiato come questo canyon, profondo 500metri e largo, alla sommità, 4km.

(Il Wadi Mujib l’Architettessa che si autoscatta)

Un paio di curve dopo abbiamo incontrato Semi, ex militare di carriera, che ha aperto un “bar” dentro una tenda alla beduina.Le specialità della casa sono thè giordano (zuccheratissimo con salvia o menta) e infuso alla cannella. A Semi in realtà piace chiaccherare, e parecchio. Ci racconta che ha aperto il “bar” neanche due settimane fa e che vive a 40km da lì. Non ha la macchina e quindi va a lavorare facendo l’autostop; se la sera non trova il passaggio è attrezzato per dormire lì. Il che significa in buona sostanza un materasso dentro ad un’altra tenda, più piccola. E’ felice. Aveva una fidanzata a Vienna, a Vienna ci è pure stato, ma è felicemente tornato nel Wadi Mujib. Anche perchè ha scoperto di avere le corna, a quanto pare.

(L’Architettessa con Semi, kefia rossa, e l’amico di Semi)

Lasciamo il castello di Karak alle nostre spalle, diamo un’occhiata veloce a quello di Shobak immerso nella luce caleidoscopica del tramonto. Arriviamo a Petra che è ormai notte, la sfioriamo percorrendo una strada tutta curve. Non la vedo ma so che è lì. E che come tutte le cose belle, si farà desiderare ancora un pochino.

(Il Castello di Shobak)

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