dal nostro inviato

dal nostro inviato speciale Piernicola

Biennale

Dopo aver percorso per due volte ogni singola installazione dell’Arsenale e quelle dei vari padiglioni nazionali ho avuto la sensazione che ciò che manca è proprio…l’architettura!
Si comincia con un lunghissimo corridoio dedicato alle trasformazioni urbane di alcune megalopoli messe l’una accanto all’altra, di continuo, Barcellona, Mumbai, Caracas, Los Angeles…dopo un po’ sembrano tutte talmente uguali da distrarti e passare oltre. Ricordo centinaia di proiettori che mandano immagini, cifre sulla mobilità, sulla popolazione, sulle favelas rendendo tutto un unico immenso pastone che se non prendi nota alla fine non sai più se hai visto il masterplan di tokio o quello di Buenos aires che forse il porto non ce l’ha.
E di questa sfilza di immagini fa parte la presunta città in divenire Torino-Milano che stanno per raggiungersi e anche Genova, forse messa lì per rendere omaggio al bellissimo (vero) progetto del waterfront di Piano (immancabile).
E la considerazione, un po’ amara per la verità, che non potendo più sradicare le favelas e dare abitazioni decenti ai loro abitanti, le città del terzo (?) mondo si attrezzano per portare lì qualche utile servizio, come una palestra, un pronto soccorso, visti qui come riduttori di emarginazione, delinquenza e degrado sociale.
Usciti da questa dimensione apocalittica e un po’ alla blade runner del mondo presente e futuro (non ho colto segni di speranza), si passa per incanto alle città ideali (e veramente solo ideali) di pietra in una sequenza così assurda da far perdere ogni riferimento spazio temporale.
Naturalmente esagero e probabilmente sarebbe bastato dire che il tutto è semplicemente folle: dal futuro prossimo venturo molto cupo al ritorno al passato più becero: qui infatti sono esposti i progetti per la ricostruzione dell’area di Punta Perotti a Bari e di altre aree dismesse del Sud Italia.
Questo è il regno delle costruzioni di pietra, delle facciate ottocentesche, del ritorno dell’architettura fascista, medievale, delle cupole e degli archi spingenti, dei disegni a china, delle ricostruzioni delle antiche città greche: rispetto alla sezione precedente un delirio!
O forse quanto auspicato dagli stessi urbanisti per risolvere i problemi delle città contemporanee? Non l’ho capito. Fatto sta che il concorso per Punta Perotti è di per se già morto rispetto alle intenzioni sulla riqualificazione dell’area di cui si dibatte in città.
Lasciata questa anomalia e attraversata la mostra (un po’ risicata) sulle stazioni della metro di Napoli che forse meritava maggiore approfondimento, visto che li’ almeno un po’ di architettura c’era (Perrault, Eisenman, Podrecca ecc.) si arriva al Padiglione Italia curato da Purini con la sua città ideale di VeMa (acronimo di Verona Mantova, fantasiosa denominazione del luogo dove dovrebbe sorgere).
Qui molti studi emergenti propongono edifici per temi (residenze, ospedali, teatri) che in se’ non sarebbero neanche male (non tutti) ma che nel piano generale non sembrano prefigurare una città esattamente a misura d’uomo, quanto piuttosto metafisica, leggermente angosciante, per nulla gioiosa.
Alcuni episodi però sono molto belli, come l’Ospedale di Antonella Mari o il parco di OBR (se non ricordo male).
Il resto magari alla prossima puntata, ora pausa pranzo, oggi PARMIGIANA (senza uova)!!!

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