IL MIO VIETNAM

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ora 20.00 locale (14.00 in Italia e in Spagna)

sono finalmente uscita dalla room dell’hotel in cui mi sono rintanata da 3 giorni. Per mettere ordine nella valigia, nelle scartoffie, tra le foto, negli gli scritti e un pochino nell’anima, ma anche perchè, llueve que Dios la manda.

arrivata nella hall, ho visto tutti gli ospiti circoscritti nella stessa piccola area, davanti ad un televisore. A Huè, una bellissima città vietnamita dove sono stata 3 giorni fa, è stata dichiarata l’emergenza nazionale. era tutta allagata. Immagini raccapriccianti dei danni provocati dall’alluvione. A soli 400 Kilmetri da qui.

Ero scesa per la cena, volevo ordinarela e farmela portare in questa immensa stanza dalla quale scrivo, ma il caposala, mi ha pregato di mangiare per una volta giù. Chissà perchè. ho accettato. Ai vietnamiti non bisogna mai rifiutare un invito gentile.Ha messo il mio tavolo accanto a quello di un ragazzo che stava per cenare, anche lui solo. Non gli ho chiesto nulla, era pure carino, italiano o spagnolo credo…ma non mi andava… in un altro momento avrei cominciato con where are you from e bla bla….

ad un certo punto uno dei camerieri si è fatto aprire una bottiglia di vino da uno dei clienti seduti ad un tavolo non distante dal mio, un tipi con le braccia tutte tatuate, seduto con una bionda di mezza età anche lei. ho sorriso della cosa.

dopo il mio pollo a curry, sono passata nuovamente davanti alla recepcion e ho detto alla ragazza che lavora qui, 15 ore al giorno, che aveva uno stupendo aodai. Me ne sono fatto fare uno su misura, di seta, appena mi sento più leggera mi farò fare una foto, mentre lo indosso.

sono serena, e la mia vita va esattamente come io vorrei.

alleluia.


IL MIO VIETNAM

HANOI

Sono arrivata ad Hanoi il 29 ottobre alle 21.30. Il suo nome fu scelto dall’imperatore Tu Duc, nel 1831 e significa città sull’ansa del fiume

All’aereoporto, il timbro sul passaporto, mi provoca un sussulto diverso. Provo la sensazione che mi aveva assalito in Australia l’anno scorso. Finalmente ero in un posto che avevo tanto desiderato. Finalmente ero sola. Non avevo quasi nessun contatto in Vietnam. Avrei fatto tutto da sola.

Dico al vietnamita del pick up che I need cash. Mi indica l’ATM.

Quando entriamo in macchina, lui mi spiega che Hanoi dista 30 kilometri e ci vorrano 45 minuti per arrivare. Dopo 10 minuti gli indico lo stereo, lui lo accende e dice is vietnamit music. Izokkei.

Dentro lo stereo c’è una cassetta, anche in Cina, i tassisti avevano nell’auto le cassette.Deve piacergli parecchio canticchia e ogni tanto alza il volume. Mi guardo intorno è tutto senza grazia, una baraccopoli. Penso alla guerra e ai B52 che hanno martoriato questo paese. Che sta recuperando la sua dignità.

Mentre l’auto scorreva liscia su una strada bagnata, pensavo ai libri che avevo letto e mi immaginavo le belle campagne vietnamite, semplici, con le risaie verdi, i contadini vestiti con abiti scuri e con i loro cappellini a cono di paglia intrecciata. Mi figuravo quelle casette sgarrupate sul terreno battuto. Ma come mai gli americani attaccavano questo popolo semplice che altro non aveva che dei ridicoli fucilotti. E su di loro piogge di napalm, attivando dei semplici bottoncini.

Che orrore la guerra. Che orrore voler soffocare i diritti umani e le convinzioni politiche. Un unico paese diviso a metà, una parte con alleati americani e l’altra con alleati sovietici. La più grande catastrofe bellica di tutti i tempi.

Povero Vietnam.

Al blue sky hotel mi danno una stanza al 4º piano senza ascensore, promettendomi di cambiarmi l’indomani. A letto senza cena, stanca ma felice.

Il giorno dopo è iniziata la grande avventura. attraversare la strada primo dilemma. un inglesino fuori all’hotel, mi fa vedere come si fa. si attraversa come se le moto che sfrecciano non esistessero. saranno loro a schivarti.

Hanoi è una città rumorosa, inquinata e molto, ma molto, sporca, per i canoni europei, certo.

Seguendo fedelmente un itinerario della lonely planet, mi sono incamminata verso il Lake Hoan Keim, il lago più grande della città.

Ed è un continuo percorrere strade monotematiche. Nel XIII secolo si formarono 36 corporazioni, ognuna con la sua attività in una strada diversa.Le famose 36 strade, oggi giorno diventate una cinquantina, si chiamano tutte hang, che significa merce, quindi hang Gai è la strada della seta, per esempio, e la strada dove era situato il mio hotel hang ga, strada del pollo. Insomma

ogni strada ha il suo prodotto: ad esempio nella strada del ferro, ci sono ovunque decadenti laboratori, gli operai che saldano e che tagliano con la fiamma ossidrica, per la strada, sui marciapiedi. Si sente incessante il battere dei metalli, per mano dei fabbri, con i loro vestiti nero carbone e le mani mezze distrutte.

Poi ad esempio c’è la strada delle funi e delle stuoie, che ci faranno con tutte ste stuoie? E con le funi? fabbricanti di scatole di latta, si alternano a negozi di specchi, e per terra c’è sempre qualcuno che sta cucinando col suo fornellino.

A ridosso del marciapiede, in basso c’è lo scolo delle acque, dai buchi che lo alimentano, spesso, mi hanno detto si vedono uscire, ovviamente, dei topi. Ho avuto il terrore di vederne, per tutto il tempo ma non ho avuto questo disgustoso piacere.

Le abitazioni sono quasi tutte di due o tre piani e hanno una ampiezza in facciata, date la legislazione locale, di 2,5-3,5 mt. Come massimo. Sono tutte strettissime e ovviamente piene di fili elettrici ricadenti che le INdecorano.

foto: venditrice di banane fritte.

I monumenti e i siti archeologici della città di Hanoi, sono interessanti, però hanno firte carenza nella manutenzione, soprattutto sono neri di smog. Come la cattedrale neogotica di San Giuseppe, che si trova nel quartiere vecchio. L’1% della popolazione vietnamita è cattolico, più o meno 1.000.000 di credenti.

Arrivata al lago Hoan Kiem, lasciata alle spalle la folla di cyclò e di xe om, che si mischia spesso all’odore acre delle fritture in strada, e rinunciando a comprare le cartline almeno 10 volte dagli ambulanti che si avvicinano, attraverso il ponte rosso, si giunge al tempio di Ngoc Son, che già solo per il fatto di essere recinto dall’acqua e ombreggiato dalle fronde degli alberi circostanti è un bel posto dove trovare un po’ di pace nel kaos più totale di Hanoi.

Per tutta la settimana in giro ad Hanoi, sono stata sulle moto bay, i mototaxi privati che per un eurito ti portano dove vuoi tu, e mi si sono incrostate le narici con lo smog, e la sera mi sanguinavano un pòchino. Si sfiorano con le ruote ogni 5 minuti, è un’avventura ogni vola, da crepacuore direi. Se sopravvivo in Vietnam, sopravviverò ovunque. Quello della guida dei vietnamiti, è vermanete un capitolo a parte, come direbbe Mirko, sono letteralmente antiguida. Ho avuto anche una impercettibile herpes agli angoli delle labbra , forse per aver bevuto con questi bicchieri mal lavati. Ma è sparita subito. Ho mangiato di tutto, anche le banane fritte nell’olio puzzolente e nerognolo, che ovviamente si vendono per strada. Non mi è successo nulla. Non ho preso neanche l’enterogermina.

FOTO: recinto della tomba dell’imperatore TU DUC

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