L’Anonimo

La quantità di materiale che c’era in quel dannato portfolio, che è la stessa dannata quantità di oggi, era troppo pesante per essere inviata a mezzo fax o a mezzo stampa o a mezzo e-mail o a mezzo dell’accidente che gli pigliasse. Tutte opere esclusivamente studentesche tra l’altro. E poi c’era l’immancabile CV, fresco fresco e vuoto vuoto …perché aveva seguito di poco la mia promozione a Dottore in Architettura. “In quel tempo” inviavo centinaia e centinaia di buste al giorno, di quelle foderate con le bollicine di plastica, quelle bollicine che di solito i bambini e gli adulti amano schiacciare. Che poi alla fine si dovrebbero chiamare PLICHI e non “buste”. Dentro trovavano posto un CD, un CV e una lettera di presentazione scritta con il più rispettoso dei formalismi. Passati alcuni giorni si provvedeva alle telefonate, per sapere se i plichi erano giunti a destinazione e per chiedere se era possibile fare un colloquio (dando quindi per scontato che “l’Architetto” si fosse già degnato di dare un’occhiata al materiale). Finché un giorno ebbi questo pensiero: kompagni, la misura è colma! E così, oltre alle lunghe file alle poste, decisi di fare anche delle belle passeggiate in giro per la città, per consegnare a mano i miei propri plichi. I plichi. Lividi. Li vidi lì, sì. Li vidi vividi. Chi? I plichi, vi dissi! Una mattina, dopo aver fatto la mia buona colazione al bar, decisi di bazzicare per il mio quartiere. Da troppi giorni andavo in giro per posti sconosciuti e poco belli di Porto. Oggi il postino Ed avrebbe consegnato lì e non più lontano di “lì”. Quella mattina, si sarebbe giocato “in casa”. Gli obiettivi erano stati segnati sulla mappa il giorno prima, con calma. Uno di questi era vicinissimo a casa mia, sulla via centrale del quartiere. Girovagavo con le mie buste nello zaino, pronte ad estrarle come un templare con la sua spada. C’era anche il timore di essere visto e riconosciuto dai miei nuovi vicini (la sindrome de “lo hai visto quello? Chi. Quello nuovo!”). Ad un certo punto la mappa mi disse di fermarmi di fronte alla porta vetrata di un condominio. Restai di sasso. Oibò, e mo’, mi dissi. Non è nuova l’abitudine di trasformare degli appartamenti in studi di architettura all’insaputa, forse, degli altri condomini. In uno che conosco la cucina e i bagni sono diventati gli archivi, con i grossi raccoglitori accatastati sul forno o dentro i lavandini. Ma quello sembrava un condominio vero, senza inganni. Ebbi la fortuna di beccare la donna di servizio, che mi lasciò la porta aperta dopo essere entrata. In Portogallo non sempre compaiono i nomi sulle cassette delle lettere. Quasi mai. Alle volte c’è il numero del piano, quello della porta c’è sempre (ovviamente) …e poi ti dicono se l’appartamento è rivolto sul fronte del palazzo, sul verso, oppure sul lato destro, centro destro, piano terra e così via. Stetti per infilare la mia busta dentro una cassetta, quando chiesi alla donna se lì c’era o non c’era un architetto, in particolare il “Tal dei Tali”. Venni a sapere che c’era, che quella era in pratica l’abitazione, che lui era in società con un nipote (se non ricordo male) e nulla più.

Venne la sera ed in casa riuscii ad ottenere una piccola vittoria. La mia socia aveva convenuto con me: sarebbe toccato a lei fare la cena. Nel mentre che aspettavo, facendo di guardia al televisore dall’alto del divano, improvvisamente, senza preavviso alcuno, sentimmo squillare il telefono. Ci fu una seconda “convenzione”: sarebbe stata la mia socia a rispondere. Al televisore sembrava che stesse per succedere qualcosa da un momento all’altro e io dovevo tenerlo sott’occhio, visto che lei si era rifiutata di avere un cane da guardia in casa. Ne sostengo già uno, mi disse una volta.

“Vogliono il Signor Architetto!”. Secondo Oibò.

Era “Tal dei Tali”, del condominio. Una voce anziana ma eccitata. Mi ringraziava per avergli portato il materiale e si scusava perché, per motivi di salute, già non esercitava più. Di conseguenza non avrebbe potuto accogliere le mie richieste: non ci sarebbero stati colloqui di lavoro né primi giorni di lavoro né primi giorni di stipendio di lavoro e così via. Sembrava eccitato dall’idea che un architetto “italiano” si fosse ricordato di lui ma la cosa che ricordo con più piacere furono gli auguri.

Le auguro di avere successo nell’arte che più amiamo, l’Architettura, …o qualcosa del genere.

Per una volta, ero stato trattato come un collega.

L’Esame di Stato, però, lo superai solo un mesetto dopo.

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