Nadina

Era una casa di sei architetti, 6 studenti di architettura. Tempo dopo, scoprii che Sérgio, coinquilino mezzo mulatto dell’isola di São Miguel, (Azzorre), se ne lamentava. Che cavolo uno ritornava a casa la sera, diceva, dopo il duro “lavoro” della facoltà (la temibilissima e ostica FAUP), e si ritrova a dover discutere di Architettura pure tra le mura domestiche.

Ah, lo avete notato anche voi, eh??? “Architettura”, con la A.

Ritornando a casa, la sera, mi beccò mentre ero seduto sul pavimento del soggiorno. Me lo ricordo ancora, aveva una borsa nera a tracollo e mi sembrava un tipo magrissimo (lo spate che i ciccioni si mettono sempre in soggezione con i magrolini. In portoghese si direbbe che è un conflitto tra gordos e palitos). Con una faccia super stupita e impaurita, mi porse la mano senza indugi e poi cominciò a interloquire con l’atro coinquilino nella stanza accanto. Un friulano dello IUAV. Forse Sérgio pensava che il compito di riempire la casa di gente sarebbe toccato a lui, ma noi lo bruciammo sul tempo. Due spagnoli di Barcellona, due italiani e il gallego Juan (suo amico di lunga data, essendosi trasferito stabilmente a Porto) erano il team di una casa di veri lavoratori.

Una nostra amica della provincia di Barcellona, che veniva spesso a visitarci assieme ad altri caotici spagnolacci, mi diceva tra il riso e l’incredulo: «ma voi lavorate sempre!!!».

Gesù, non ci avevo mai fatto caso. E questo per ricordarci quanto è giusto che si dica: «dannati architetti».

Gli spagnolacci, quando parlavano, usavano sempre questo intercalare: «siii, no???». E per questo, venivano ripetutamente e presi in giro dagli italiani e dai brasiliani. I portoghesi, invece, non lo facevano. Voglio dire: non li prendevano in giro. C’era rispetto, nonostante fossero i conquistatori.

Quella sera c’era una gran confusione in casa. La casa, ovviamente, era piena di spagnolacci. Io e lo spilungone dello IUAV uscivamo solo con loro, con i portoghesi, e delle volte si beccava anche qualche brasiliano. Per una strana ragione non facevamo gruppo con gli italiani, che comunque in queste misture di culture rimangono sempre i più simpatici di tutti. I più “ganzi”. I tipi giusti, insomma. Gli spagnolacci erano venuti per usare i nostri pc. Per lavoro, per inviare e-mail, e per fare innumerevoli copie dei nostri cd. Ogni cd che un tizio trovava in casa, veniva masterizzato proprio come si dice in politica: “senza se e senza ma”. I case erano roventi. Io usavo il computer di Sérgio, per cui non potevo millantare nessuna proprietà. Arrivavano loro ed era finita la pacchia. La mia amica ed io ci ritagliamo un posticino in uno dei due divani, mentre la gente era al lavoro come se fosse al mercato del pesce. Lei, era distrutta. Una brutta storia: un suo carissimo amico, uno dei migliori amici del fratello (con il quale condivideva un appartamento), era impazzito. Quando si sedeva a tavola per mangiare gli veniva l’istinto di mettere in ordine le posate, belle parallele le une alle altre, alla ricerca di una psicotica perfezione. Il fratello della mia amica era pure ritornato a casa dai suoi, per timore. Nella cerchia di amici del paese tutti erano impazziti, per il suo impazzimento. Ne soffrivano. Sentivo la voce singhiozzante e vedevo scorrere le prime lacrime. Poi ne vidi delle altre, scorrere sulle scie delle prime. Fu allora che mi permisi di chiedere «ma scusa, cosa ha avuto??? Cosa ha provocato tutto questo???».

Non c’erano prove, ma il principale sospettato era un corso cinese. Di medicina o di cucina. (Adesso non ricordo).

«È cominciato tutto dopo un corso di medicina cinese». Pausa. Al che, lentamente, scoppiai io. Erano piccoli singhiozzi che venivano da lontano, dal profondo, in costante crescita e soprattutto senza controllo. Formulai mentalmente un “favva” quando cominciai a capire di non essere in grado di contrastare la forza dei miei muscoli facciali. Espulsi definitivamente un paio di risate clamorose e con la faccia di uno che aveva fatto una marachella le dissi «scusami Nadina…è che questa è una di quelle storie più assurde che…». Che per fortuna, al mio ridere, rise anche lei.

 

PS

Questo spazio è dedicato anche a tutti coloro che volessero contribuire con le proprie storie “portuensi”, cioè della città di Porto. Do Porto. O di altre città.

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