Tutti abbiamo un bar sotto casa, il bar dell’angolo, il primo punto di riferimento mattutino, senza il quale non si può cominciare la giornata.
Ovviamente qui a Madrid, che ha più bar che tutta Norvegia, i bar sotto casa sono vari, anche se non sto in pieno centro: posso vantare nel raggio di 50 metri dal portale di 3 bar dell’angolo, 2 pub, 3 caffetterie, 2 bar-tavola calda e…lui (esso, il luogo, l’antro, il covo…): parlo del bar sotto del mio edificio. Chi avesse la possibilità di entrarci, per errore o per scelta, gli consiglio di fare marcia indietro, di non farlo. Il nome ora mi sfugge, penso di non esser mai riuscito a leggerlo Si tratta di un posticino grande più o meno 10 m2, gestito da due curiosi signori dallo sguardo cupo e buio e diffidente. Il bar consta di 2 tavoli e 8 sedie interni, ma l’affluenza aumenta del 25% grazie ai due sgabelli esterni che genialmente funzionano come sedia per clienti, fermaporta e testimoniano l’apertura del locale.
La cosa curiosa del locale è senza dubbio l’odore, acre, sporco, carico, fumoso, denso, schifoso ed assolutamente letale (ne sono sicuro). All’aprire la vecchia porta di ferro e vetro si entra; se non si sviene subito ci si può rendere conto che gli avventori normali, e i proprietari ti stanno già guardando con occhio bieco, come se gli stessi entrando in casa. Sono tipi curiosi i camerieri: entrambi hanno sui 50-60 anni, uno l’occhio bieco ce l’ha sempre, anche quando sorride, l’altro deve avere un leggero tic che gli salta fuori quando parla con ragazze, e che non gli permette alzare lo sguardo sopra il petto delle imbarazzate avventrici.
I clienti poi devono essere dei super-uomini: ovviamente sono sempre gli stessi, sempre; colazione pranzo cena aperitivi merende…sempre lì, spesso nella stessa posizione e vivono di quegli odori di quell’atmosfera molto personale, forse ancora non sanno della caduta di Franco, non si saranno resi conto della crisi, del 23 febbraio…forse tutto questo non lo sanno: perché nessuno si è mai preso il rischio di entrare a dirglielo.
E fumano. Nel bar sotto casa si deve fumare, penso che ci sia un regolamento interno che ti obbliga a farlo, non sei degno di essere servito se non hai una sigaretta accesa, possibilmente di tabacco nero. E forse per quello ti guardano male.
Appesi alle pareti ci sono varie gambe di prosciutto (il fantastico jamon serrano, iberico), cosa abituale qui in Spagna. Il fatto è che quelle gambe sembrano dei trofei, immobili e imponenti sopra le teste fumose delle persone. Non penso che si potranno mai mangiare, a meno che non si stia provando una nuova versione di affumicamento artigianale a base di “rubios”.
Non ho mai visto i proprietari ridere in quel bar, i clienti sì, soprattutto dalle 10 di ogni sera, quando il vermuth è già sceso che è un piacere.
E’ curioso il bar sotto casa, ci entrai un paio di volte e mi sembrava realmente di accedere a un territorio sconosciuto, in una dimensione che non mi apparteneva. Quelle persone vivevano in quei pochi metri quadrati una vita diversa da quella del resto della città, della Madrid che corre e non si ferma.
Esagerando, ho descritto un elemento tipico della Spagna e della sua capitale; la vita si sviluppa attorno a un bar; non piacciono i locali aperti (o piacciono meno); piace molto l’antro, il chiudersi in un una realtà intima ed estranea a tutto: c’è un salto forte fra interno ed esterno: non si può capire questa città senza considerare che la Madrid della strada è completamente differente dalla Madrid de “los garitos” in cui appena si può ci si rifugia. Si vive meno la piazza, la strada, molto di più il locale.
Ma forse ogni bar, in ogni parte del mondo è così.
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