il ritorno

Natali polverosi, stanchi, tristi. Natali malati. Natali che hanno ridotto il presepe ad 1/4 del suo antico e dovuto volume. Natali assassini, scellerati. Natali trascorsi nella conferma del dolore. Natali del Presidente del Consiglio imposto. (L’ennesimo). Natali della depressione e della sofferenza tributaria. Natali della caduta in povertà.

Quando la depressione scarseggia, entra in gioco il pessimismo. Mentre le sofferenze, com’è noto, si confermano nel ruolo di “fattore costante”. E nonostante ciò, pare che quest’anno lo scambio dei regali si sia stranamente infittito.

Si decide di ritornare a casa per Natale, confermando lo status di emigrato e con l’occhio della Ragione rivolto alle prospettive per il 2015.

Rimangono ferme, statisticamente parlando, le specifiche attività che si possono svolgere in Ronaldìa (l’antico Portogallo). Per un italiano, la rosa comprende: il turismo; l’ERASMUS; il dottorato di ricerca (se si vince una borsa della FCT o della Gulbenkian); il call center (agente di primo livello); l’apertura di una pizzeria, una spaghetteria, una piadineria o un locale che, comunque vada, sia capace di servire le delizie dello Stivale.

Il problema «è a monte». Per gli architetti in partenza, poche sono le destinazioni papabili. Se si vuole restare in Europa, si consigliano quei buoni e bravi Paesi che non hanno ancora sottoposto i propri cittadini al flagello dell’EURO. Fuori dal continente vecchio, quasi ogni terra potrebbe andar bene. E quindi nessuna. C’è da sbizzarrirsi, tra un punto imprecisato dell’Oriente, dove le archistar trascurano la mancanza di democrazia perché dicono essere un dettaglio trascurabile, ai rinati Stati Uniti d’America, tanto bistrattati dagli “italiani rossi”, che poi finiscono sempre per stabilirsi lì, tutti quanti, impegnati a far su dei bei dollaroni. (Tanto qualche buon’anima disposta ad investire sulle loro idee la trovano sempre, come ci fa capire qualche giornalista destatosi di rcente). Mentre, per le mete più esotiche e più vicine all’italianità, c’è il Brasile. Ovvio.

Dopo le magnate sotto il vischio, seguirà un 2015 pieno di “punti della situazione”. E se alla fine si arrivasse alla conclusione che tutto può e deve rimanere così com’è, be’…almeno ce lo saremo detti in faccia. È un periodo di stasi, tra la malinconia dolorosissima per il passato e il pensiero per ciò che poteva essere il presente (che “non è”) e il futuro (che “non sarà”). È normale sentirsi così. Ci hanno dato un sacco di botte. Siamo ancora storditi, stanchi, abbattuti nel corpo e nello spirito. Alle volte, però, è sufficiente marcare una linea. Basta solo ricordarsi, che non è necessario aspettare il Natale per sentirsi dire e dirsi…«non soffrire più».

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