Allora, per ordine: Daniela

Allora, per ordine:

Daniela non solo non è una domanda sciocca ma è stata la piccola spinta per rimettere mano a questo blog, che altrimenti rischia di accumulare polvere. Grazie.

Cambiano, le cose e le persone. Perchè sono venuto via da Londra. Una domanda con molte risposte ma nessuna definitiva ed esauriente. Mi rifiuto di spiegarlo anche a me stesso. Il vero motivo che mi tratteneva lì, e lo sapevo anche allora: non avrei mai ammesso di sentire nostalgia per quella città o rimpianto per essermene andato. E’ una città in cui si dimentica facilmente. Si impara a dimenticare velocemente, è una questione di sovraccarico. Non volevo, in una parola, andarmene così, per un motivo qualsiasi, solo come per una vacanza un po’ più lunga delle altre. Fra l’altro ho ancora roba in storage laggiù, da qualche parte vicino Bedford. Mi mandano regolarmente le fatture ma non so se la cassa di 12mq che ho affittato a quest’ora è piena di ragni topi e altre entità muffose che, finiti i libri e il piumone si sono attaccate anche alle gomme della bicicletta.

Un periodo plumbeo, e anche piuttosto lungo. Con strappi lipperlì non sentiti in tutta la loro profondità, poi gradualmente un senso di oppressione impossibile da evitare, non alleviato dalle amicizie e dagli intrattenimenti e dagli esercizi. Volevo piangere ma nemmeno riuscivo, sentivo che avrei dovuto sforzarmi ma non usciva, non usciva. In pratica, mi è venuto il terrore che se restavo sarei caduto nella disperazione, e avevo giurato a me stesso che non sarei mai arrivato a quel punto. Visualizzavo una bella maniglia rossa, come quelle sulla metropolitana, e la tentazione di dargli finalmente quello strattone si trasformava nella certezza che era arrivato il momento di farlo. E anche quello poi non è stato un attimo liberatorio, ma un processo faticoso durato sei o sette settimane, con le ultime due culminanti nel parossismo del cinque luglio, il giorno degli attentati e, con splendida casualità devo dire, anche il giorno del mio volo british airways solo andata gatwick-galileo galilei.

Penso che questo blog ancora conservi le entries di quei giorni di tre estati fa: vada pure a rileggerle chi voglia. Dovrei ricordare forse, ma come dice peter gabriel, here comes the flood (and say goodbye to flesh and blood). Qui in italia l’incertezza è molta. Io poi che non sono di quelli che campa sui prestiti o cavalca tigri di carta, non so veramente domani cosa bisognerà inventarci. Nella sua rubrica futurama su XL di Repubblica, Bruce Sterling tratteggia una specie di manuale di sopravvivenza alla crisi, basato su, ovviamente, la russia, ma utile forse per i giorni a venire per l’occidente tutto.

Adesso è tardi e vado a letto. le altre risposte a poi.luna

cuore


Bonjour. La notte porta varie cose, fra cui una che mi ero dimenticato di menzionare ieri: la paura.

Me ne sono andato anche perchè non ne potevo più di avere paura. Uscire solo con una meta ben precisa. Camminare per la strada e non potersi fermare mai, sempre in movimento a passo quasi di corsa (the london walk, sustained and brisk) nel timore e con la certezza che appena lo fai qualcuno ti si avvicina per derubarti/chiederti soldi/aggredirti anche solo verbalmente. Non si contano le persone che ho visto sobbalzare e stringere la borsa al petto alla domanda “scusi sa che ore sono?”. L’interazione sociale nei giorni precedenti gli attacchi terroristici era particolarmente tesa. Le bombe sono arrivate al culmine della tensione, e la città si è sentita ferita e unita, ma solo transitoriamente.

Non c’è medicina per la riluttanza congenita che gli inglesi hanno per rivolgere la parola agli sconosciuti. Forse cambierà ma non troppo presto e troppo in fretta. Come per gli italiani è impossibile non gesticolare parlando, è cosa molto rara che qualcuno ti rivolga la parola per strada, a meno che non ci sia di mezzo una transazione economica. Nei pochi giorni infrasettimanali in cui non lavoravo e non vedevo amici non era improbabile stare tutto il giorno avendo pronunciato solo una dozzina di parole, fra cui circa sette thank you. Si capisce che lo shopping venga vissuto compulsivamente, come tentativo sublimato di riattivare un’interazione sociale altrimenti quasi inesistente. Ma che schifo però pensavo, e ancora lo penso. In Italia è diverso, non siamo ancora a questi livelli, ma qui a Bologna e a Firenze, sparpagliate nelle periferie della maggioranza delle città italiane ci sono gli outlet e gli shopping centres dove la gente si ammassa nei weekend, passeggiando in quello che il Rem definisce junkspace con lo scopo, forse solo secondario e indotto, di acquistare roba, ma principalmente credo per vedere ed essere visti, nell’abitudine ottocentesca della promenade.

Nel frattempo il black album di Prince (oh sempre sia lodato!) fa il suo effetto come il caffè, e (no non vado in bagno) mi do una mossa per la giornata.

Salutmusica

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