Anche noi, siamo stati in vacanza. Abbiamo messo via i nostri soldini e a luglio siamo andati due settimane a Cuba. Occhio però, non volevamo la Cuba di Varadero e dei Cayos, volevamo la vera Cuba, quella della gente comune, dei taxi abusivi e delle case particulares (e, per Fabio, anche dei sigari).
Così, abbiamo iniziato a girare: l’Avana, Cienfuegos, Trinidad, Santa Clara. Che dire? Io ne ho ricavato un emozione che si era nascosta nel mio animo, un emozione che risaliva a quando ero piccola, e, prima della caduta del muro di Berlino, si andava con mamma e papà a fare i week end nella ex Juvoslavia, e si era andati anche in Ungheria e in Cecoslovacchia. Posti bellissimi, ma pervasi come da una patina di grigio che offuscava tutto, la città, le persone, le strade e le case. Qui, ho ritrovato tutto questo, nonostante i colori brillanti e la vivacità della gente, si vede che manca qualcosa, mancano le cose fondamentali.
Si fa presto a dire che viviamo in un mondo consumistico e che bisognerebbe ritornare ai valori di un tempo, che i soldi non fanno la felicità e menate varie, ma la gente che ti ferma per chiederti se gli vendi le nike o i ray ban, cose che noi diamo per scontate perchè praticamente alla portata di tutti, fa riflettere.
E sentirsi dire da Mario, che è laureato in Economia e ha famiglia, che ha dovuto lasciare la cattedra di docente all’università dell’Avana perchè guadagnava 15 dollari al mese e non poteva comprare i pannolini per i suoi bimbi, e che ora si arrangia a fare la guida turistica perchè gli lasciano mance che per noi sono irrisorie ma che per loro fanno la differenza, lascia dentro una strana sensazione, di tristezza ma anche di sollievo, perchè alla fine, se noi siamo qui e loro lì, la cosa è del tutto casuale.
E così alla fine, Mario ci accompagna all’aeroporto, e ci lascia prima del check in, perchè lui, dice, l’areoporto lo conosce solo “dal di qua”. Ma in ottobre avrebbe dovuto fare un viaggio in Europa, veniva a trovare la sorella che viveva in Spagna e poi veniva anche in Italia, ospitato da amici. Chiaramente veniva da solo, perchè la sua famiglia non poteva seguirlo, così lo Stato era sicuro che poi lui sarebbe ritornato indietro.
Ci lascia una mail, Mario, per sentirci, la mail di sua moglie, che ancora lavora all’università come docente, e ha un collegamento internet, limitato però ai giornali approvati dal governo e alla casella di posta elettronica. Perchè le connessioni internet non sono vietate a Cuba, ma un’ora di collegamento costa come lo stipendio di una persona comune, per cui si fa presto a capire che difficilmente è accessibile alla gente.
Quando arriviamo a Madrid, col volo intercontinentale, e sbarchiamo al Terminal 4 del Barrajas, pensiamo alla faccia che avrebbe fatto Mario, ormai personificazione del cubano medio, all’arrivo in quella bolgia di colori, luci, tecnologia e merci. Poi pensiamo al fatto che ci chiedeva quanto costava un viaggio in treno da Milano a Venezia e, alla scoperta dei 35 euro del biglietto, rimaneva basito, perchè ok, ti ospitano, ma in Italia, se vieni ci devi pur vivere.
Ora i cubani possono viaggiare, e forse Mario in Italia ci è venuto. Ho provato a scrivere alla mail che ci ha lasciato, ma non ho ricevuto risposta, lui diceva di insistere perchè anche la censura informatica era forte, per cui non demordo.
Volevo mandargli una cosa che lui sognava, ma che rimanendo a Cuba non poteva avere. Era un fan accanito di Roger Federer, e desiderava tanto una maglietta delle sue, che però sono della nike, che è americana, e a Cuba non arriva perchè c’è l’embargo. Costa 25 euro. Avrei voluto mandargliela. Poi però, come ci diceva lui, non sarebbe arrivata, perchè in aeroporto, i doganieri facevano razzia delle cose migliori.
Se questo è il risultato dell’utopia comunista della società perfetta, grazie, ma rimango nella mia imperfezione.