Oggi è l’11 settembre. E lo è per la dodicesima volta. Ci sono state le commemorazioni, sempre più in sordina, e sono stati letti i nomi dei caduti. I fasci di luce di ground zero svettano sullo skyline di New York.
E il mondo va avanti.
Ricordo quell’11 settembre con una chiarezza impressionante. Ero appena tornata dall’università quando la mia amica Valeria, con la quale ci eravamo appena lasciate a scuola, mi chiama e mi dice di accendere la tv.
Abbiamo visto crollare le torri in diretta. Ha fatto paura.
E ha fatto paura, otto anni dopo, trovarsi di persona di nuovo a ground zero, e vedere che l’immenso world trade center che anni prima avevo visitato in una vacanza studio non c’era più, ma al suo posto c’era un’immensa voragine vuota, e profonda.
Ma l’America si tira su, e, come ci mostra la foto ha rialzato subito la testa, si è data da fare, e oggi svetta là la freedom tower e le torri, a memoria, sono due segni sul terreno.
Ricostruire era l’imperativo. E stanno ricostruendo più grande, più forte.
Difficile è ricostruire le vite bucate da 2974 vuoti improvvisi, inaspettati, assurdi. Vite di gente comune che si è salutata al mattino, si è detta le solite cose, si è distrattamente baciata senza sapere che sarebbe stata l’ultima volta.
Trovare un perché è impossibile, farsene una ragione una necessità.
E ascolto ogni giorno venti di guerra in tv, sento che il Presidente americano deve attaccare la Siria, mentre ancora Iraq e Afghanistan sono nel caos e ogni giorno nuovi buchi si formano nelle vite martoriate di tanta gente che non c’entra niente, ma è nata nel posto sbagliato.
E capisco che la storia, le tragedie non insegnano un bel nulla, anzi, alimentano la necessità di spaccare ancora vite di gente innocente, ignara di tutto, che continua a farne le spese, a fronte di ideologie, religioni, potenze che, il più delle volte, non conoscono, non condividono.
Ground zero passerà, risorgerà, passeranno le persone dalle vite spezzate da questa tragedia, non la si dimenticherà ma andrà a finire sui libri di scuola come una cosa lontana, come i campi di concentramento o la battaglia delle Ardenne. Qualcosa che è successo, che va commemorato, ma che succederà ancora, perché la Storia, nonostante il parere contrario degli antichi romani, non è, non è mai stata e mai sarà maestra di vita. Perché l’uomo è un essere imperfetto e odia i suoi simili, e cercherà sempre di distruggerli per invidia, avarizia, avidità mascherate da alti ideali che inevitabilmente crollano.
E questo succede tra grandi, con grandi tragedie, e tra piccoli, con piccole tragedie a volte anche molto dolorose.
Se stasera, nel marasma di programmi dedicati all’avvenimento, trovaste il film “Molto forte, incredibilmente vicino”, guardatelo. Ho scritto anche un post a riguardo. Vi strapperà il cuore, ma quando ve lo rimetterà a posto, vi ci avrà messo qualcosa di buono dentro.
Soundtrack: Ligabue – Ho perso le parole